Imbarazzante, magari immorale, ma almeno non illegale. Non per l’Unione Europea, almeno. Il gruppo Volkswagen non ci prova neppure a negare l’evidenza: anche in Audi è stato utilizzato il “ritocchino” al motore, o meglio al software, per produrre meno CO2 in laboratorio rispetto all’uso su strada. Ma secondo il gruppo «i software contenuti nei veicoli con motore EA189 non rappresentano un impianto di manipolazione illegale nella legge Ue». E sapete perché non è illegale? Perché, si è affrettata a spigare una nota della casa automobilistica, «l’efficienza del sistema di pulizia non viene ridotto nei veicoli coinvolti, fattore che rappresenta un prerequisito per la determinazione di illegalità». Una giustificazione che assomiglia molto alla proverbiale toppa che è peggio del buco, ma tant’è. Certo che non lo si può neppure più definire “dieselgate”, dato che il ritocco sarebbe stato implementato su centinaia di migliaia di motori V6 anche a benzina su auto dotate di cambio automatico AL 551 – soprattutto A6, A8 e Q5 – dal 2009 e al maggio 2015, dunque ben otto mesi dopo lo scoppio dello scandalo del dieselgate. Solo che quello riguardava l’ossido di azoto e questo l’anidride carbonica, sulla quale le normative Usa, a differenza di quelle europee, sono molto stringenti.
L’offensiva contro l’industria tedesca partita negli Stati Uniti, dove i funzionari del California Air Resources Board (Carb) hanno provato a variare le condizioni di test (per esempio semplicemente girando lo sterzo), riscontrando un aumento significativo delle emissioni di CO2, è ben lontana dalla conclusione. All’orizzonte si profilano quindi altre richieste di maxirisarcimenti a danno di Audi, dopo quello da 14,7 miliardi a carico della capogruppo. Evidentemente Oltreoceano sono convinti di poter mungere ancora un po’ E, assodato che conciliare prestazioni ed emissioni è una sorta di mission impossible per adempiere la quale le case automobilistiche si arrangiano come possono, non ci stupiremmo di leggere, tra qualche mese, che qualche autorithy americana ha scoperto altri sistemi software per aggirare i valori delle emissioni di motori di Porsche. O di qualche altra casa europea non necessariamente del gruppo Volkswagen.
Nel frattempo il gruppo di prepara a un piano “lacrime e sangue”, con tagli per 8 miliardi di euro nel quinquiennio 2017-2021, a carico principalmente della capogruppo (per 3,7 miliardi) e dei due marchi premium Audi e Porsche. L’amministratore delegato Matthias Müller sta contrattanto da mesi con i sindacati per il cosiddetto «Patto per il futuro» e questo ennesimo scandalo non ci voleva proprio. Per di più, se Oltreoceano gli avvocati già si fregano le mani, nel Vecchio Continente anche il presidente Hans Dieter Pötsch ha seguito le orme dell’ex ad Martin Winterkorn e l’attuale responsabile del marchio Herbert Diess, finendo nel registro degli indagati del tribunale di Braunschweig, competente territorialmente sulle vicende dello scandalo emissioni. L’illecito ipotizzato per tutti e tre è il medesimo: manipolazione del mercato per aver taciuto sui possibili danni finanziari relativi al dieselgate nelle due settimane intercorse tra il 3 settembre 2015, data delle dichiarazioni rilasciate al Carb e all’Epa, e il 22 settembre 2015, quando WV ammise le proprie colpe. Da gruppo fanno sapere che «Sulla base di un attento esame condotto da esperti legali interni ed esterni, la società ribadisce la sua convinzione che il consiglio di amministrazione abbia debitamente adempiuto il suo obbligo di comunicazione ai sensi del diritto dei mercati dei capitali tedesco». E se con la mano destra l’autorità federale tedesca dei trasporti (Kba) conferma la versione di Volksvagen sulla piena legittimità nella Ue dei dispositivi correttivi utilizzati, con la destra schiaffeggia il costruttore rigettandone l’arringa e aprendo di fatto la strada a un maxirisarcimento come quello che verrà pagato Oltreoceano. E non c’è “nuova Golf” che possa risollevare le sorti del marchio.