SANREMO ’09/ Paolo Cattaneo: la canzone è una forma d’arte

- La Redazione

A pochi giorni dall’inizio della 59° edizione del Festival di Sanremo Paolo Cattaneo, chitarrista, docente e musicoterapeuta si racconta a ilsussidiario.net. L’amore per la canzone, il corso per cantautori e il segreto di questa forma d’arte semplice, ma essenziale. All’interno il video de Gli Uomini di Mariella Nava

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Il Festival di Sanremo ha da anni una trama conosciuta e solitamente avara di sorprese. La sua rassicurante ripetitività indurrà comunque la maggior parte degli scettici a dargli un’occhiata, come a controllare che sia tutto a posto. Altri si dedicheranno a quei libri che si erano sempre ripromessi di leggere per non correre nemmeno il rischio di intravedere il palco dell’Ariston, altri ancora, innamorati della canzone italiana lo seguiranno con emozione, sperando di scovare una perla tra i brani proposti.
È il caso del chitarrista milanese Paolo Cattaneo, insegnante del Piccolo Conservatorio di Milano, cuore storico del jazz milanese e successivamente ai Corsi Civici di Jazz, (in quel corso Venezia che vide nascere lo Studio 7 di Tito Fontana); oggi Docente di Semiotica musicale e Pedagogia della musica presso l’Università degli Studi di Milano., nonché consulente musicoterapico presso l’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano.
La canzone italiana è, tra le altre cose, l’elemento dominante della sua metodologia, in quanto “forma semplice e condivisa, che aderisce all’identità sonora dei fruitori, i pazienti”, o come preferisce chiamarli lui, i “partecipanti”.

Siamo alle porte della 59° edizione del Festival. È ancora un evento musicalmente interessante?

Per coloro che come me hanno passato la cinquantina è un evento che conserva ancora tutto il suo fascino. Ricordo l’interesse che avevamo per questa manifestazione da ragazzi, soprattutto per quelli che iniziavano a suonare. Era l’occasione anche per ascoltare tanta nuova musica, cosa che non era facile come oggi.
Nelle ultime edizioni qualcosa si è perso, anche se si trovano sempre buone canzoni. Ci sono delle annate feconde e altre meno.


Come iniziò la sua avventura di musicista?

La passione per la musica nella mia vita iniziò da piccolo, con la chitarra, poi con il pianoforte. Lo studio iniziò a farsi serio più avanti con un grande maestro, Filippo Daccò, chitarrista, insegnante di armonia jazz, punto di riferimento di diverse generazioni di musicisti.
In quegli anni il Conservatorio non prevedeva il Diploma per i chitarristi, a cui rilasciava solo un attestato che non abilitava all’insegnamento, di conseguenza presi una laurea in architettura e al Dams di Bologna una laurea in “Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo”, titolo che mi permise di entrare nella scuola come docente di ruolo.

Come si spiega questo suo amore per la canzone italiana?

Penso che la canzone sia la colonna sonora della nostra vita. Questo vale anche per chi ascolta musica classica o jazz. Ritengo che sia un patrimonio culturale da salvaguardare e anche da cui esigere un’autorevolezza formale, un gusto e delle capacità specifiche, maturate con il lavoro.
Fortunatamente ci sono delle realtà in Italia, come il Club Tenco, che cercano di tutelare e promuovere la dignità della canzone come forma espressiva.

Immagino che non sia d’accordo quindi con chi la ritiene una forma d’arte minore?

La canzone è una forma d’arte in senso assoluto.
Per questo ho attivato presso l’Helvetic Music Institute di Bellinzona, un istituto musicale nel Canton Ticino di cui sono direttore didattico, un corso per cantautori che affronta i diversi aspetti della canzone: melodia, parola, armonia, ritmo.
Per scrivere delle buone canzoni bisogna studiare, lavorare seriamente, formarsi. Non ci si può certo improvvisare.
La qualità di un brano si coglie nella sua globalità, ma anche in quegli aspetti meno immediati che però fanno la differenza.
La canzoni che ascolteremo in questo Festival dureranno circa tre minuti, un tempo breve, in cui però la partita si può giocare molto bene (o molto male).

Qual è il segreto di una buona canzone?

La canzone deve prevedere una giusta interazione tra musica e parola, facendo leva su tutte le potenzialità del linguaggio tonale.
Il linguaggio è quello della tradizione, usa le stesse strategie, le modulazioni, le progressioni, se vogliamo come in una composizione di Beethoven, anche se naturalmente in forma più immediata, senza la strutturazione ampia che può avere una forma classica.
Molta musica di oggi è invece ridotta a pura “pulsazione” artificiale, elettronica, mentre melodia e armonia vengono ridotte all’osso.
La canzone perde così la sua configurazione strutturale, che poi si rivela estremamente positiva anche per la nostra sollecitazione a livello mentale.


Quali canzoni degli ultimi anni l’hanno colpita di più?

Un capolavoro assoluto che ho ascoltato a Sanremo è stata la canzone Gli uomini di Mariella Nava. Non ha avuto il successo che si sarebbe meritata e nell’edizione del 1991 non venne neanche considerata a livello di classifica, ma questi sono gli aspetti meno interessanti della kermesse.
È di una profondità assoluta, a livello armonico, testuale e di arrangiamento.
Una delle più belle canzoni di Sanremo di tutti i tempi. Si avvicina al livello di Emozioni di Battisti, una vetta difficile da raggiungere. Andrebbe fatta studiare a scuola.

(Carlo Melato)

Segui il 59° Festival di Sanremo su ilsussidiario.net partecipando alla discussione condotta da Massimo Bernardini. Inoltre, sondaggi in tempo reale, possibilità di commentare, ospiti e sorprese.
Appuntamento martedì 17 febbraio ore 21.00 nella Sezione Musica de ilsussidiario.net.





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