“Mostrami prima l’uomo che è in te, e poi ti mostrerò il mio Dio”.
(Teofilo di Antiochia)
C’è una costante della cultura europea che non si è ridotta a seguire l’insorgere delle tendenze, delle “mode”, dell’impressionismo, dell’espressionismo o del futurismo… ma che continua – e non finisce – perché presta all’ascolto della “voce della realtà”, una voce che parla attraverso la natura – come in Duparc e Debussy – mediante i sentimenti dell’amore, della nostalgia, della tristezza e che infine giunge ad attingere al sentimento religioso esplicito – in Ravel e Messiaen – ritrovando, musicalmente, le radici ebraico-gregoriane della musica sacra.
C’è un percorso che mette in luce una continuità di questa cultura europea.
Nella Francia di fine Ottocento e prima metà del Novecento, quella dei Baudelaire, Daumier, dei Peguy, dei Claudel, un percorso musicale che porta da Duparc (1848-1933) fino a Ravel e Messiaen (1908-1992), cioè ai nostri giorni.
Bisogna ricordare che la musica sacra liturgica – il gregoriano che nasce storicamente con Papa Gregorio Magno (590-604) e si diffonde rapidamente in tutta Europa – prende le sue mosse dal canto ebraico presente nelle primissime comunità cristiane, le quali cantano semplicemente “rispondendo” (responsorii) alle invocazioni con: Amen (dall’ebraico: è così, sta così) e Kyrie (dal greco: O Signore! vocativo di Kyrios, Signore, che ha la stessa radice di Kaiser, da Caesar ecc.). C’è quindi una sorprendente continuità con l’ebraismo: ebbene, tutti gli autori del Novecento, sentono il ritorno obbligato alla tradizione perché è solo da lì che può venire la verità di un’espressione rinnovata.
Olivier Messiaen è, con Stravinskij, certamente il più grande e geniale compositore del ‘900.
Organista, compositore, appassionato di ornitologia, è stato il maestro dei più importanti compositori contemporanei, tra cui Boulez, Stockhausen e Benjamin. La sua vastissima produzione è intrisa di ricchissima umanità e straordinaria coscienza critica della musica alla luce della fede cattolica. Diceva di sé: «La prima idea che ho voluto esprimere, quella che è la più importante poiché è posta al di sopra di ogni cosa, è l’esistenza delle verità della fede cattolica. […] Questo è il primo aspetto della mia opera, il più nobile, senza dubbio il più utile, il più solido, il solo forse di cui non mi pentirò al momento della mia morte».
Per Messiaen la fede permea ogni aspetto dell’esistenza, scoprendo in tutti gli avvenimenti della vita quella gioia che è vitale e appassionata espressione dell’Incarnazione. La sua profonda ispirazione è totalmente immersa in una visionaria concezione del creato ove ogni singolo elemento appare come immagine e segno della presenza divina. La sua è così una “teologia della glorificazione”, un’esaltazione dell’umano come riverbero del Mistero. In tale prospettiva, Messiaen, musicista della gioia e della luce, occupa un posto pressoché unico nel panorama della musica contemporanea. Così nei “Poems pour Mi” (1936, orchestrato poi nel 1937), primo ciclo vocale, dedicato alla moglie Louise Justine Delbos, detta Claire, violinista e compositrice, (“Mi” era il nomignolo affettuoso con cui Messiaen la chiamava), l’amore coniugale diventa segno del Mistero e fonte di ringraziamento (Action des graces) per avergli donato la persona con cui condividere l’esistenza.
Il cielo, la terra, le nuvole, gli occhi, perfino le viole del pensiero sono partecipi dell’amore (“nell’esperienza di un grande amore, tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito”, R. Guardini). Il testo, dello stesso Messiaen, esclama commosso: «… Tutto questo me lo avete donato nell’obbedienza e nel sangue della vostra croce, e in un pane più dolce della freschezza delle stelle…». In “Prière exaucée” l’invocazione eucaristica “O Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa…” diviene grido totale dell’essere (clamor mentis intimae), in un crescendo di impressionante intensità fonica. Ma è con “Résurrection”, (scritta per il giorno di Pasqua) che Messiaen tocca il vertice dell’espressività musicale. Egli giunge perfino a immedesimarsi con Cristo nel momento stesso di quella che chiamava una sorta di “esplosione nucleare”, e che Benedetto XVI ha definito come «la più grande mutazione della storia». Su di una tastiera incadescente che letteralmente “esplode” con masse accordali mai udite, dalla regione grave alle note più acute, in un “fortissimo” di potenza cosmica, si staglia il canto vittorioso dell’Alleluja, che sembra riunire in un solo istante la tradizione bimillenaria del canto cristiano: “Je suis ressuscité. Je chante: pour toi, mon Père, pour toi, mon Dieu, alleluia. De mort à vie je passe”.
È la certezza della Resurrezione che investe l’autocoscienza dell’uomo, che diviene a sua volta con-resuscitato con Cristo. Anche solo per questo brano, di rara esecuzione, crediamo valga la pena partecipare all’incontro conclusivo di Musica in Cattedra del Centro Culturale di Milano.
(Giovanni Fornasieri)
Musica in Cattedra
Natura, amore, religiosità. Da Debussy a Messiaen
Giovanni Fornasieri, pianoforte e commento
Patrizia Zanardi, soprano
21/05/2009 21.00 Sala Puccini
Conservatorio di Milano
Via Conservatorio, 12