Descrivere a parole il mondo dei suoni è arduo; diventa impossibile se si tratta di una voce, del suo timbro e della sua abilità nell’esprimere la Bellezza. Che fare? Non resta che far nascere il desiderio di conoscerla, questa voce. Ma non c’è solo lei: decisivo risulta anche lo sguardo, di quelli che restano impressi fin dal primo incontro.
Dato che però è giusto non lasciarsi prendere e trasportare chissà dove dalle idee, abbiamo voluto “andare a vedere” a Imola il mito di un’interprete di lieder (e molto altro) dalla fama tanto grande da sembrare un’esagerazione. Si tratta di una cantante contesa da anni tra i massimi teatri del mondo, tre ottave di velluto modulato dall’infinitamente piano al sempre controllato fortissimo.
Pochi la conoscono, rifugge i media. La sua è una famiglia profuga dalla Slovenia in fiamme del dopoguerra, lei è argentina di nascita, seconda di cinque fratelli. Educata in una solida famiglia cattolica piena di musica, voleva fare la maestra elementare, ha invece vinto il primo premio “Nuevas voces argentinas” ed è partita per il mondo. La sua discografia vanta almeno cinquanta titoli e da subito premi di ogni tipo, dai Grammy e i Diapason d’or fino all’Austrian Honorary Medal for Art and Science, nel 2006. L’ultimo suo CD è stata per noi una conferma e una sorpresa: nuovi accenti in una pagina ben nota (lo Stabat Mater di Pergolesi).
All’arrivo nella cittadina provinciale il clima è di quelli che ti raffreddano, non solo fuori. Dalle bacheche dell’augusto teatro “Ebe Stignani” si affacciano piccoli ed eleganti manifesti che sussurrano: “Bernarda Fink, mezzosoprano; Anthony Spiri pianoforte. Lieder di Schumann e Mahler”. Nell’elegante conchiglia del teatro settecentesco, uno dei tanti gioielli italiani, si vedono signori dalle chiome argentate con signore tinte. Qualche capannello di raffinati confabula con sguardi elevati al soffitto, di quelli che ti confermano: loro “sanno già”, non sembra si aspettino grandi novità.
In un elegante e semplice vestito turchese, lei entra. Ci guarda tutti con quel sorriso ampio e beato, insistito. Ammicchiamo tra noi: “È lo stesso sguardo che abbiamo imparato a conoscere nei suoi video…”.
Si comincia con Schumann. La scelta dei Lieder è evidentemente accurata: niente distrazioni, tutte liriche assolute (del grande poeta Friedrich Rückert). Si deve subito ammettere che quello sguardo è il suo primo tesoro (a parte la voce che purtroppo qui non possiamo in alcun modo far immaginare) che, come un vestito, avvolge dalla prima all’ultima nota ogni piega psicologica delle parole. E di più: al termine di ogni lied ci mette un bel po’ di secondi ad “uscire dal fatto” di cui si canta. E anche il pianista – di livello – rivela un’intesa perfetta e un analogo coinvolgimento emotivo. Hanno lavorato parecchio.
«Mio amato le tue parole mi strappano dal petto il cuore… mi innalzano di fuori di me stessa… mi trascinano per il cielo come in danza… Mio amato, le tue canzoni mi avvincono una corona di raggi intorno al capo: oh, come potrò mai ringraziarti per avermi così riccamente adornato?» (op. 101/2). Nella breve pausa tra una lirica e l’altra viene da scorrere velocemente i versi della successiva per poi chiedersi: “Che volto avrà, ora?»
Seguono sette canzoni in lingua slovena di compositori e poeti del Novecento (parla perfettamente molte lingue…); brani di tono popolare, ondulanti tra nostalgia e allegria, tutti di una semplicità fanciullesca. Niente intellettualismi, sempre fatti di vita quotidiana (fino al bimbetto da sgridare perché da giorni non si lava). Ad ogni ciclo di lieder gli applausi si riscaldano, le canizie si agitano, si sentono anche dei “Brava!”.
Infine Mahler: un primo ciclo drammatico all’inverosimile (Canti d’un giovane viandante), un secondo pieno di affetti e luce (“Lieder dell’ultimo periodo”, sempre del grande Rückert). La prima serie ci conferma un’altra caratteristica ribadita dalle recensioni dei recital della Fink, che già avevamo visto a Milano nel 2008 nella cantata di Ferrandini Il pianto di Maria: nelle sue interpretazioni è capace di “portare” il dolore più tremendo, quasi assumerlo in sé e restituirtelo in una mirabile forma artistica, “tanto bella da mozzare il fiato”. Chiude con parole del calibro: «Se mi ami per amore, oh si, allora amami sempre!». O anche: «A mezzanotte le mie forze ho rimesso nelle Tue mani! O Signore! Sulla morte e sulla vita tu sempre vegli a mezzanotte».
Al termine ovazione generale.
Abbiamo per lei una lettera d’invito. L’ingegnere ci accompagna davanti al suo camerino, attendiamo, si apre e subito si rivolge a noi con un: «Ma prego, non state lì nel corridoio, mettetevi più comodi, entrate…». I nostri sguardi si incrociano mentre la tensione si scioglie. “Le abbiamo portato un fascicolo con le introduzioni dei dischi della collana «Spirto Gentil», in italiano e spagnolo…”. «In italiano va bene lo stesso – ci risponde lei – ma se c’è lo spagnolo meglio, così capirò bene. Grazie, li leggerò tutti». Il suo sguardo è quello di sempre: umano e aperto, espressivo come non si vede quasi mai. È lei, la stessa anche quando ci troviamo faccia a faccia. “Venga a Milano, porteremo ad ascoltarla i nostri amici, tanti giovani”, «Come si fa a portare in teatro i giovani? E come farò? Non ho programmi su Milano…», ribatte lei. “Basta che lei lo desideri”, risponde il più anziano tra noi.
Tornando a Milano con la chiara sensazione che Bernarda Fink parli e canti di bellezza perché, fin dalla dura infanzia, ne ha fatto esperienza. Anzi, verrebbe da dire, lei “vive di bellezza”.
L’aspettiamo.
(Maurizio Laffranchi)