Era il 5 ottobre del 2009, poco più di tre anni fa, quando venne pubblicato Sigh no more, album d’esordio di quattro ragazzi inglesi destinati a scalare le classifiche mondiali in breve tempo. Scoperti per caso grazie ai consigli di un amico: stava per uscire il primo album, preceduto peraltro da tre EPs di poco successo… ma si comincia dal basso. Dalle stalle alle stelle, come s iusa dire, o meglio dai pub alla cima delle classifiche.
Perché loro sono uomini di campagna, in fondo, come tutti i folkmen che si rispettino, si occupano delle cose semplici, delle cose di tutti i giorni, e lo testimoniano i testi delle loro canzoni. Ma lungi dal voler essere visti come “band cristiana”, in una recente intervista al Guardian si son trovati d’accordo nel dichiarare: “Non siamo tutti cristiani, e nemmeno tutti religiosi. In realtà nessuno di noi lo è davvero. Abbiamo, come dire, un ampio spettro di credenze e convinzioni”. E sembra che tali convinzioni siano ben radicate nel tessuto compositivo che si sono ricamati e che possono ora indossare senza vergogna. Perché Mumford si è anche dovuto difendere dalle accuse di suonare un rock’n’roll “da vecchiette”, rispondendo chiaro e tondo che loro non sono un gruppo rock, almeno classicamente inteso. “Ci accusano di inautenticità perché suoniamo gli strumenti che suoniamo; questa cosa dell’inautenticità non mi ha mai preoccupato,” dice Marcus nella stessa intervista. “Non da quando ho realizzato che Bob Dylan, probabilmente il mio artista preferito di sempre, se ne è sempre fregato dell’autenticità. Ha cambiato nome. Si è ispirato a Woody Guthrie. E ha mentito a tutti su chi fosse realmente.”
Perciò, come se non bastasse, dopo il successo del primo album (numero uno nelle charts d’Irlanda, Australia e Nuova Zelanda e numero due in Inghilterra e Stati Uniti) non avevano niente da perdere. Il mese scorso è uscito Babel, secondo capitolo di una saga che speriamo non si concluda troppo presto. Babel è un album che non si distacca volontariamente dallo stile del primo, ma che vuole sviluppare l’idea musicale già espressa in Sigh no more cercando di perfezionarla (e perfezionarsi): lavorano sul suono, cercando di pulirlo e rendendolo meno grezzo. E anche se il valore di una band o cantante dal punto di vista musicale non si misura dal successo discografico, direi che sono riusciti nel loro intento: Babel è primo nelle classifiche di quasi tutti i Paesi anglofoni, e negli USA ha già venduto più di un milione di copie. Nella bella intervista sovra citata, il giornalista Tom Lamont osserva come le band valide si riconoscano dalla capacità di rimanere con i piedi per terra e mantenere il senso dell’umorismo anche se sommerse dal successo improvviso (come traspare anche in Chris Martin e soci, per esempio).
Ma che cos’è il successo? Perché i Mumford and Sons, pur vendendo molto, non sono pop… eppure sono popolari, nel senso che piacciono alla gente. Ma ci sono artisti (o che si spacciano per tali) che piacciono soltanto a certe categorie di persone, che riscuotono successo soltanto in certe fasce d’età, e quello è il loro limite. I Mumford, al contrario, non hanno limiti (per ora), perché piacciono ai giovani e agli adulti, ai madrelingua inglesi e non… insomma: dicono qualcosa più o meno a tutti. Sono essenziali musicalmente e concreti liricamente, questo è quanto. Sono dei bardi del 21esimo secolo, che portano nelle città la loro storia, cantano la loro esperienza dell’amore e dell’amicizia, testimoniano un modo di vivere attento alla realtà che li circonda in modo che sia tramandata negli anni di padre in figlio come insegnamento di vita vissuta fino in fondo.
Qualcuno si chiede se possano essere considerati la band migliore al mondo: forse è presto, forse no. Intanto, per chi fosse interessato a sentirli live, le date del tour sono già state comunicate, tre in Italia a Marzo: Milano, Firenze (dove il concerto è stato spostato nel più capiente palazzetto dello sport dato l’alto numero di richieste da parte del pubblico) e Roma. I biglietti sono già finiti nel giro di poche ore, facendo un sold out che sta facendo salire le quotazioni per un biglietto disponibile. Perciò riscaldatevi le voci: qui si canta.
(Tommaso Pavarini)