Immaginate se i Ramones, invece che uscire da quel pisciatoio sulla Bowery di New York che era il CBGB’s fossero arrivati dal sud degli States, ad esempio la Georgia, tra campi di cotone e alberi di pesche. Più o meno avrebbero suonato come suonano i Band of Horses (che in realtà arrivano da Seattle, l’ex capitale del grunge, e così abbiamo fatto il giro quasi completo della geografia rock americana). L’altra sera, in un Alcatraz pieno a metà, complice forse la fine del ponte di Ognissanti, questa band ha dato sfoggio di due ore di potentissimo rock’n’roll, bruciante e deflagrante come quello dei Ramones, ma pieno di umori sudisti.
Una combinazione esplosiva, straordinariamente eccitante, che fa di questa band uno dei migliori spettacoli live del momento: dimenticata l’infausta esibizione all’Heineken Jammin’ Festival di un paio di anni fa – ma si sa che i grandi festival la buona musica invece di promuoverla spesso e volentieri la uccidono – i Band of Horses non hanno fatto prigionieri. Una scarica potentissima consistente di brani dal tiro implacabile, pochi accordi e ritmo senza tregua, di chiara matrice punk, ma su cui si innestano la capacità di armonizzare e costruire melodie di altissimo livello: in poche parole, un power pop di cui si sente oggi la mancanza. Come detto, la miscela è straordinariamente efficace.
Usciti fuori dal calderone della scena indie rock degli ultimi anni, i Band of Horses sono guidati dall’instancabile folletto Ben Bridwell, sorta di incrocio tra Levon Helm di The Band e Dave Grohl dei Foo Fighters, capace di raggiungere una vocalità estrema grazie alle note altissime che riesce a toccare. Vederlo esibirsi è uno spettacolo nello spettacolo: scatenato, esagerato, non smette un attimo di cantare e saltare, ma sa anche avvinghiarsi all’asta del microfono sigaretta in mano con la classe del grandi performer e rilasciare momenti di grande intesità. Come quando da solo con il bravo chitarrista Tyler Ramsey esegue una toccante e intima No One’s Gonna Love You.
Le loro canzoni mettono insieme le radici americane (Everything’s Gonna Be Undone ne è buon esempio) in chiave pop rock, suonate ad altissimo voltaggio elettrico, un muro chitarristico fragoroso sostenuto dalle tastiere e da una ritmica furiosa. Un wall of sound da paura. Il pianoforte boogie o le tastiere Hammond di Ryan Monroe poi rilasciano note grasse che sanno di profondo sud americano. Pochi dischi alle spalle, ma un repertorio che dal vivo esalta molto di più che in studio.
Aprono il concerto con una sequenza devastante da knock out e terranno questa tensione per tutto lo show senza sbandamento alcuno: iniziano con The Great Salt Lake dal loro primo disco seguita da Islands on the Coast dal secondo album, e quindi in rapida sequenza due gemme dal loro disco migliore, il terzo, “Infinite Arms”, e cioè North West Apartment e Laredo. Sarà anche il disco più saccheggiato nella serata, ma non mancano ovviamente i brani del nuovo e recente “Mirage Rock”. In mezzo, la cover a sorpresa di Powderfinger, classico di Neil Young, che dimostra quanto queste band giovani guardino sempre ai grandi vecchi del rock, eseguita in maniera eccellente.
Divertimento massimo poi quando Ryan Monroe seduto all’Hammond rilascia una esecuzione in pieno stile southern, che dimostra quanto la black music sia altra componente fondamentale dei questi ragazzi, mentre The Funeral, forse il loro brano più bello, cliccato milioni di volte su Youtube e usato in una infinità di serie televisive americane, sbalordisce per la resa live. Siamo dalle parti di un Tom Petty and the Heartbreakers, per capacità melodica e ricchezza strumentale.
E’ “all american rock’n’roll”, e dei migliori. Chiudono con una oscura cover soul, proprio per rimanere nel profondo sud nero degli States, la splendida Am I A Good Man, mandandoci a casa come se fossimo stati a una celebrazione liturgica del reverendo Rock ‘n’ Soul. Se proprio un difetto dobbiamo trovare, è l’orribile serie di diapositive stile viaggio di nozze che scorrono dietro di loro. Di scarsa qualità, riprendono paesaggi tra i più scontati d’America, ma ci infilano anche un tributo a Milano: la chiesa di San Fedele, quella dietro Palazzo Marino durante Islands on the Coast e il Duomo di Milano durante Infinite Arms. Chissà perché poi. Misteri del rock’n’roll.