HENDERSON’S ELECTRIC MILES/ Nel nome di Davis: la prima mondiale a Milano
Una prima mondiale di lusso si è tenuta lo scorso 18 novembre a Milano, quella del gruppo Michael Henderson’s Electric Miles. La recensione di STEFANO BARAGA

L’interesse (mai sopito) per la musica di Miles Davis ha partorito un’altra creatura. La Michael Henderson’s Electric Miles si è esibita in prima mondiale (ed esclusiva europea) domenica mattina al Teatro Manzoni lo scorso 18 novembre. Per i pochi che non lo conoscano, Michael Henderson è stato il bassista di Davis per sei anni, dalla seconda metà del 1970 fino al suo ritiro del 1975. Ha partecipato ad album quali Jack Johnson, Big Fun, On the corner, Get up with it, Pangea, Agartha e vari dischi dal vivo. Davis “rubò” Henderson a Stevie Wonder (!) perché cercava un bassista in grado di dare vita a una pulsione funk e continua, un groove che in quei mesi di vulcanica evoluzione mancava alla sua musica. Henderson fu la pietra angolare dello sviluppo della musica davisiana dei successivi sei anni, dunque qualcosa di più di un collaboratore di altissimo livello (tra l’altro è considerato un bassista cult per molti campionatori dei suo vamp di basso, specie negli anni 90).
Logico l’interesse per vedere all’opera questa band, che vanta tutti componenti di altissimo livello e si avvale in primis di due altri “reduci” , Sam Morrison (sax) che partecipò alle sessioni di On the corner, e “Spaceman” Patterson. Era annunciato anche Badal Roy, altro fondamentale ex, sostituito da Bhupinder Singh Chaggar, musicista dal curriculum impressionante e che ha mostrato di trovarsi perfettamente a suo agio in questo contesto. Essendo una prima assoluta, il sestetto è evidentemente ancora in fase di ricerca del giusto amalgama e della direzione da prendere. Molti gli assoli, tutti peraltro interessanti e non stucchevoli (in particolare uno di sapore quasi satiano del bravissimo tastierista Klippie) che però sottraggono spazio alle parti di insieme e dell’improvvisazione collettiva.
Il suonare insieme aiuterà molto lo sviluppo del progetto. La musica si sviluppa in lunghi medley che spaziano da Jack Johnson a Pangea. Con qualche riferimento anche a Silent Way e Bitches Brew, con un equilibrio già interessante tra le anime bluesy-hendrixiana di Patterson (i cui assoli riportano anche alle atmosfere del ritorno del 1981-82, con Mike Stern), quella più tradizionalmente jazz di Morrison (elemento di congiunzione non solo cronologico tra Shorter e Liebman/Bartz, molto lirico nei suoi interventi) e quella funky di Klippie (sempre in bilico tra i rimandi a Zawinul e quelli ad Hanckock e Jarrett, a volte riuscendoci a volte meno) in cui la coppia ritmica Henderson-Djordjevic però a volte a faticato a mantenere il tutto nel giusto solco (in particolare per l’esuberanza e l’inventiva del batterista, a cui Henderson ha probabilmente voluto lasciare fare). Quando le varie anime riescono a trovare i giusti equilibri, come nell’esecuzione di alto livello di “Right Off”, giustamente apprezzato dal numeroso pubblico presente, si evince gran potenziale di questa formazione.
La difficoltà non da poco è quella di trovare delle chiavi interpretative tra le musiche del primo periodo elettrico dove le tastiere avevano un ruolo molto forte e quelle del secondo, quello del 71-75, dove la musica tende a diventare un magma indefinito, un continuum con una forte base funky, a quella dell’album del ritorno “We Want Miles”, in cui Davis semplificò in parte il suono. Non è mancata una nota storica curiosa.
Prima di eseguirne una versione jazzy, Henderson ha rivelato che nel 1975, durante una session, inventò il giro di basso del tema di Mario Bros, il famoso gioco elettronico, che Davis non volle però pubblicare. La speranza è che il progetto continui e sviluppi anche le parti più “dark” e introspettive della musica (come nel bel bis finale, dove un liquido tappeto sonoro tabla-basso-batteria su tempo di bolero ha permesso a Morrison e Patterson di prodursi in bei assoli basati sul gioco note-pause, in cui Davis fece scuola), portandole al livello già buono di quelle più funky e ritmiche. Già un buon risultato comunque l’aver limitato a pochi momenti un suono di maniera, tipica di certa fusion. Alla fine, dopo un’ora e mezza abbondante, grande disponibilità da parte di tutti i componenti per autografi, foto (e qualche regalia). Buona la risposta del pubblico che ha riempito il teatro, per una buona parte al suo primo impatto con questa musica, che alla fine ha dimostrato di aver apprezzato il set. Un plauso agli organizzatori della manifestazione “Aperitivo in concerto” che propone un programma (fino a marzo) eterogeneo e abbastanza insolito, in una formula consolidata (la domenica mattina al teatro) non usuale.
Henderson ci ha anticipato che è in programma il ritorno di questo gran bel gruppo, per febbraio. Li attendiamo curiosi, per vedere se gli allievi Henderson-Morrison-Patterson riusciranno a proporci una rilettura della musica del grande maestro ancora più intrigante e coinvolgente. Il potenziale c’è sicuramente.
(Stefano Baraga)
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