LUCIO DALLA/ “L’uomo che sussurrava al futuro”: il nuovo libro raccontato dall’autrice
Il genio di Lucio Dalla raccontato dalla scrittrice ROBERTA MAIORANO nel suo nuovo libro, L’uomo che sussurrava al futuro. Una storia di musica, poesia e di un Dio che gli metteva allegria

Ho sempre pensato che John Lennon avesse scritto il verso più sensato della storia, cioè che “la vita è quello che ti accade mentre sei impegnato a fare altro”. Non c’è nulla di prevedibile in questa vita, come i colpi di genio di un artista, il manifestarsi di un sentimento forte, la nascita di un figlio e perfino la morte. Così come quell’evento vissuto da me in prima persona, la mattina del primo marzo dell’anno che sta per chiudersi.
Esco da casa ancora febbricitante, ma galvanizzata dal fatto che devo recarmi dal mio editore per firmare un contratto importante. Durante una breve riunione per mettere a punto gli ultimi dettagli, arriva un messaggio sul mio cellulare, è un’amica che mi scrive che Lucio Dalla è morto. Dopo l’iniziale sgomento, comunico alle persone presenti nella stanza la cosa ma nessuno ci crede. Eppure le agenzie stanno battendo in contemporanea la notizia della morte improvvisa di Dalla a Montreux, a due settimane dall’ultima sua apparizione al Festival di Sanremo.
L’editore rompe il silenzio e a bruciapelo mi propone di scrivere un libro sul cantautore che ha appena chiuso gli occhi: 100 pagine che raccontino la vita di Dalla, attraverso i suoi dischi. Senza quasi nemmeno pensarci rispondo di sì e mi avvio verso casa per buttare giù i primi appunti, sull’onda del dolore e dell’incredulità. Davanti al foglio bianco mi tornano in mente i miei mille ricordi legati a Lucio e le prime parole che affiorano alla mia mente sono i versi di Futura, la sua prima canzone ascoltata da bambina:”Nascerà e non avrà paura nostro figlio”. E’ così che nasce L’uomo che sussurrava al futuro (collana 100 pagine di Aereostella Editore), quel piccolo grande uomo, sempre tre passi avanti a tutti. Ogni capitolo è dedicato a un disco e alla fine di ognuno di questi c’è una “cronoannotazione” storica, accompagnata da un verso di Dalla dell’epoca, piccola e piacevole caratteristica propria della collana.
In queste 100 pagine ricordo Lucio senza retorica, raccontando ciò che è riuscito a creare grazie al suo amore per l’arte e la vita, senza colori politici, senza bandiere da sventolare, senza costrizioni, senza etichette.
La sua storia di uomo e di artista non ha confini ben definiti. Una storia fatta di delusioni cocenti e di enormi soddisfazioni, mescolate dalla mano di un regista un po’ folle, una storia costellata da incontri fortunati, come quello con Gino Paoli all’inizio degli anni Sessanta, il primo in assoluto a credere nella genialità del Lucio Dalla interprete (all’epoca del loro incontro, Cantagiro 1963, Lucio fa jazz e suona il sax nei Flippers, complesso di Edoardo Vianello) e Sergio Bardotti che lo accoglie sotto la sua ala di sapiente produttore.
I primi tentativi di entrare nel cuore della gente falliscono, anche perché Lucio non incarna esattamente il prototipo di cantante bello, disciplinato e romantico tanto in voga nei Sessanta: è basso, piuttosto in carne, peloso e il suo modo di cantare – dissonante, sporco, quasi scat – impressiona un pubblico abituato a vocalità più delicate e svolazzanti.
Lucio non si abbatte, non sa farlo nemmeno di fronte alle porte sbattute in faccia e alla diffidenza della gente. E’ tanto, troppo quello che ha dentro, sarebbe un peccato disperdere tutto, ed è così che la vita lo premia con altri incontri felici come quello con la scrittrice Paola Pallottino (con cui compone quello che diventerà il suo manifesto, 4 marzo ’43), con il produttore Renzo Cremonini che gli presenta Roberto Roversi, l’anziano intellettuale e poeta bolognese da cui Lucio si lascia istruire, affascinare e insegnare il mestiere di scrivere. Da questa proficua – e parecchio tormentata – collaborazione nascono tre dischi difficili e carismatici, Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976).
Il rapporto tra l’intellettuale introverso e l’animale da palcoscenico si chiude male, ma è proprio grazie a questa rottura che Dalla prende il coraggio a due mani e comincia a scrivere a briglia sciolta i suoi testi. E’ il 1977 quando la RCA pubblica Com’è profondo il mare e – a dispetto del periodo in cui proliferano cantautori e artisti “barricadieri”- Lucio riesce a trovare una via di mezzo tra canzone “civile” e semplicità concettuale. Il suo sguardo senza filtri spazia dappertutto e gli italiani cominciano a capire il suo linguaggio diverso, surreale, coraggioso, incosciente, libero, spudorato e a tratti osceno (un esempio magnifico è Disperato erotico stomp).
Dalla piazza in classifica un capolavoro dopo l’altro, ma è nel cuore di molti che non va più via: con L’anno che verrà, Futura, Stella di mare, Cara, Anna e Marco, Balla balla ballerino, La sera dei miracoli, Siamo dei e tanti altri brani di straordinario impatto emotivo e musicale, Lucio regala un volto immaginifico e felice a una realtà che invece non ha nulla di bello e, con enorme ironia rende poetica perfino una tragica delusione d’amore. La sua voce carismatica, aspra, dissonante, con quelle improvvise variazioni di tono entra nella testa della gente come una rivoluzione. E’ chiara la sua capacità di scuotere l’anima, anche e solo con una manciata di note di clarinetto, strumento che non mollerà mai.
La storia di Lucio è fatta di amicizie indissolubili, come quella con Ron – sua felice scoperta artistica – , con Francesco De Gregori e con Gianni Morandi, destinate a sfociare anche in due celebri live (Banana Republic nel ’79 con il primo e DallaMorandi nell’88 con il secondo). Attorno a Lucio si raccoglie una vera e propria famiglia, in cui musica e rapporti umani si mescolano e danno vita a collaborazioni preziose. Come quella con il chitarrista Ricky Portera che, con i suoi riff, regala ai brani di Lucio un sound inconfondibile e, con lui, arrivano presto il batterista Giovanni Pezzoli, il tastierista Fabio Liberatori, il bassista Marco Nanni e il vocalist-autore Gaetano Curreri. I ragazzi accompagneranno Dalla a lungo, sia in studio che sul palco, andando a formare il primo nucleo degli Stadio.
Lucio è instancabile, si appassiona all’elettronica e alla lirica – inutile qui fare riferimento al capolavoro assoluto di una vita, Caruso (1986) – , non smette mai di cercare nuovi sbocchi musicali, tiene sempre d’occhio le nuove tendenze e si appassiona alla scoperta di giovani talenti. Negli anni, attorno a una Bologna fertile e accogliente, Lucio raduna ragazzi destinati a diventare cantautori apprezzati come Luca Carboni, Samuele Bersani e Angela Baraldi.
Sa incassare le critiche, resta sereno anche nei momenti meno indovinati della sua carriera, se ne frega letteralmente di chiacchiere e indiscrezioni sulla sua vita privata e si butta a capofitto perfino nel musical (la sua Tosca ottiene un successo clamoroso).
Se Lucio è capace di cambiare pelle ad ogni disco, l’unica cosa che non cambia nella sua esistenza è un’incrollabile fede in Dio, cosa che lo accompagnerà fino alla fine del suo “primo tempo” (cioè la vita, nella sua visione delle cose).
“Lui mi mette allegria” – così Lucio racconta di come riesce a scorgere Dio ovunque – “nei rumori della notte, amplificati dallo stato alterato della coscienza. Il fischio lontano di un treno, l’abbaiare dei cani in campagna, le cicale d’estate. Suoni metafisici, quasi. Ma anche le voci ovattate di una tv vista dalla strada, alla sera, dietro una finestra ai piani alti. La famiglia come nostalgia di un valore in cui credo”.
(Roberta Maiorano)
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