Sono oramai passati alcuni anni da quando, su suggerimento di un amico, ho acceso il mio stereo e ascoltato un disco che, fin dalle note iniziali, mi ha sorpreso. Le melodie erano contagiose, i testi intelligenti, la voce una delle migliori che abbia mai sentito, a metà strada tra Rod Steward e Steve Forbert. Il suo nome è James Maddock, e si trattava del suo album Sunrise on Avenue C. Una perfetta raccolta di splendide canzoni, tra cui si alternano trascinanti brani folk-rock e ballate melodiose. La splendida title track, dal sapore epico, riporta direttamente allo Springsteen dei primi tempi: una ballata delicata, dichiarazione d’amore per New York, città che oramai è diventata la sua casa d’adozione. Infatti James Maddock nasce in Inghilterra, ma la sua carriera musicale si sviluppa negli Stati Uniti, dove si trasferisce dopo aver realizzato l’album Songs from Stanford Hill per la Columbia. In seguito a questo album, Maddock rimane lontano dai palchi per diversi anni, ritornando nel 2009 con quello sopra citato, che vince il NY Music Award 2010 come Best Americana Album.
Seguono l’ottimo Wake up and dream (2010) e il Live at Rockwood Music Hall, quest’ultimo storico locale del Village newyorchese dove ormai Maddock (che si dice grande fan di Louis Armstrong) si esibisce con scadenza fissa. A marzo 2013 uscirà invece il nuovo disco dal titolo Another Life, che nel frattempo è ascoltabile online in anteprima per i pledgers, ovvero coloro che hanno contribuito (e che possono ancora farlo) alla creazione dell’album con un’offerta libera attraverso crowdfunding. L’artista ha infatti da tempo instaurato un rapporto sincero con i suoi fan, che oltre a questo hanno già “finanziato” i suoi precedenti lavori.
Another Life è un disco semi acustico magistralmente confezionato da Matt Pierson (produttore famoso per addetti al settore che lavora con alcuni tra i migliori jazzisti) e che vede la partecipazione di due musicisti (Tony Scherr e Larry Campbell) che hanno lavorato con artisti del calibro di Bob Dylan, Elvis Costello, Emmylou Harris,Willie Nelson, Norah Jones, giusto per citarne alcuni. La finezza degli arrangiamenti, infatti, dice tutto.
Per questo lavoro Maddock ha scelto di percorrere a fondo uno dei filoni aperti nei suoi album precedenti, che univano ballate rock a poetiche musiche folk della migliore tradizione di songwriting americana. Infatti, si tratta di un album di canzoni dal tratto intimistico, a volte solo accompagnate da chitarra, in cui malinconia e gioia si incrociano come avviene anche nei precedenti lavori. E la deliziosa Timing’s everything, struggente ballata accompagnata da note di violoncello, ne è un perfetto esempio. Nei diversi brani, Maddock risulta sempre sincero e commovente, non lasciando mai che la canzone si allontani per diventare eccessivamente drammatica. E la title track, insieme ad Arizona Girl, sono altre due ballate introspettive che perfettamente si adattano al suo stile.
Maddock ripesca spesso spunti da diverse tradizioni musicali, dal country alle ballate irlandesi (davvero notevole è il brano It’s heavy) fino a recuperare sonorità reggae (si ascolti la trascinante Don’t go lonely). Il disco si conclude con Making Memories, brano uptempo che merita particolare attenzione.
A dicembre James Maddock è stato in tour in Italia, accompagnato da David Immergluck, chitarrista dei Counting Crows oltre che dei Camper Van Bethoven e di John Hiatt. Tra i due era evidente una sinergia unica, come possono testimoniare i molti fan affezionati che già avevano potuto ascoltare dal vivo ad inizio del 2012.
(Carlo Motta)