Davide Rondoni, poeta, scrittore, editorialista, aveva intessuto nel corso degli anni una profonda amicizia con Lucio Dalla. Come dice lui schernendosi, Bologna in fondo è un grosso paesone e si finisce con l’incontrarsi un po’ tutti. Ma ovviamente fu la passione verso la parola, l’arte della parola, a far incontrare il poeta Rondoni e il musicista Dalla, che proprio della parola improvvisata aveva fatto grande uso. Lucio Dalla è scomparso ieri improvvisamente, la mattina dopo un concerto tenuto in Svizzera. La sera doveva tenerne un altro. I suoi collaboratori hanno detto che si era alzato di ottimo umore, aveva fatto colazione, qualche telefonata, poi la morte: infarto improvviso senza scampo. Dalla avrebbe compiuto 69 anni domenica 4 marzo: era nato quel 4 marzo 1943 che aveva cantato nella celebre canzone omonima. Per Davide Rondoni, contattato da IlSussidiario.net, “Lucio Dalla era una persona profondamente curiosa in modo positivo, curiosa del mistero della vita e con una curiosità positiva verso l’esperienza”. Serate di discussioni, così come serate di performance poetico musicale insieme avevano forgiato un rapporto durevole: “Lucio aveva una fede che definirei bambina e che non esprimeva a parole, ma se poteva non mancava mai alla messa della domenica. Ma era uno che non ha mai sbandierato questa sua fede così come peraltro non ha mai sbandierato la sua omosessualità. Non è mai stato una icona gay”.
Rondoni, come è successo che vi siete incontrati? Come è nata la vostra amicizia?
Credo che Lucio avesse letto un po’ di cose che avevo scritto, qualcuno dei miei libri. Bologna in fondo è un paesone e si fa presto a incontrarsi, a diventare amici. Così è nata questa amicizia, in qualche modo che onestamente adesso faccio fatica a ricordare, però ben presto mi capitava spesso di andare a casa sua, a volte anche a notte tarda. Succedeva così casualmente, magari tornavo da un viaggio di lavoro e vedevo le luci accese a casa sua e salivo su. Ci si trovava facilmente senza difficoltà. Fu un periodo che accadeva molto spesso di vedersi.
Avete fatto anche degli spettacoli insieme?
Mi ha accompagnato musicalmente nella lettura del “Compianto, vita”, un mio testo che abbiamo eseguito insieme nella chiesa di Santa Maria della Vita. Poi è capitato di fare altre serate insieme, serate di improvvisazione tra musica e poesia. Abbiamo fatto anche delle cose insieme alla radio.
Se non sbaglio avete aperto anche un centro di studio su poesia e canzone.
Sì, è stato aperto aperta presso il mio centro di poesia all’università di Bologna che si chiama “Centro La canzone”.
Di cosa si tratta?
Vuole essere un modo per guardare seriamente al mondo della canzone uscendo fuori dalla retorica per cui si dice sempre che i cantautori sono dei poeti, una espressione che non piaceva neanche a lui. Ricordo bene che Lucio diceva che voleva essere un buon cantante non un poeta, e che i poeti fanno i poeti e i cantanti fanno i cantanti. Insomma, aveva chiare le differenze tra due arti che sono molto vicine, ma sono anche molto diverse.
Sono assolutamente d’accordo su questo.
Era molto simpatico quando si parlava di questo. Diceva: Sai i cantautori, si dicono tante cose su di loro, ma scusa chi ha scritto i Papaveri son alti non era un cantautore pure lui? Gli autori di canzoni degli anni 40, diceva, che siccome non giravano i Festival dell’Unità allora non si possono definire cantautori?
Che cosa ti colpì di più della sua persona?
Quello che ho incontrato nell’amicizia con lui e facendo degli spettacoli insieme, tenendo conto che era uno che viveva in un ambiente così pieno di contraddizioni come lo è quello della musica, è stata fondamentalmente una cosa sola. Era una persona libera dotata di grande curiosità perché negli anni in cui lo frequentavo io Dalla già poteva guardare le cose senza l’ansia come succede ai cantanti che sono tra i più popolari, quelli già arrivati al grande successo. Non aveva certo il problema di affermarsi però rispetto ad altri che hanno continuato a ripetere se stessi non ha mai avuto paura di tentare strade nuove prendendosi dei rischi.
Ad esempio?
Era interessato alla lirica, al musical, al teatro, era uno che gli piaceva creare e mettere insieme la gente per cercare strade nuove. Musicalmente si vede dagli ultimi dischi, tentava strade nuove a volte riuscendoci a volte no, come è normale che sia però questa qualità di curiosità positiva nei confronti della vita io gliela riconosco come un tratto bello e un tratto non così frequente fra gli artisti.
Se non sbaglio qualche anno fa aveva detto che doveva musicare delle poesie di Giovanni Paolo II.
Sì, mi ricordo, fu un progetto che poi non andò in porto. Lui aveva una fede che definirei bambina che non esprimeva a parole, ma se poteva non mancava mai alla messa della domenica. Ma era uno che non ha ma sbandierato questa sua fede così come peraltro non ha mai sbandierato la sua omosessualità. Non è mai stato una icona gay. Era uno fondamentalmente con una vita interiore molto ricca. Anche incasinata, direi vivace. Poi su tante cose discutevamo anche animatamente, abbiamo avuto un rapporto franco che non era mai una passeggiata.
Una volta Lucio Dalla disse che le canzoni sono un grande mistero.
Credo che la sua figura fosse una figura positivamente curiosa nei confronti del mistero della vita, questo me lo ha comunicato in modo evidente. E questo è uno dei motivi per cui è riuscito a comunicarsi a così tante persone, senza supponenza. Mi ricordo che andai con i miei figli un paio di volte a casa sua, sotto Natale, e lui era un maniaco dei presepi e delle giostre meccaniche. A Natale riempiva la casa di giostrine meccaniche e poi aveva questo incredibile presepe del settecento che lasciò i miei figli a bocca aperta.
La notizia della sua morte ha provocato una ondata di cordoglio davvero impressionante.
Aveva una profonda fede anche verso Padre Pio per motivi suoi familiari e personali anche un po’ oscuri però il dato fondamentale era la curiosità positiva verso l’esperienza. La mancanza che in così tanti adesso sentono è questa curiosità bella che si sentiva nelle sue canzoni. Aveva un sentimento della vita come un viaggio positivo. Le sue canzoni erano sempre piene di una tensione al futuro, cosa sarà, il viaggio verso il domani, e questo credo sia una cosa molto importante oggi.
Ed era anche un grande musicista.
Era un musicista autodidatta, ma assolutamente cosciente dei legami della musica del passato con la musica cosiddetta leggera. Ricordo che a casa sua mi faceva sentire come Gino Paoli in certe sue canzoni avesse ripreso delle arie di Bach. Nelle sue canzoni si sente che era uno che la musica la ascoltava. Aveva l’improvvisazione del jazzista e l’orecchio di uno che di musica ne ha ascoltata tanta.
(Paolo Vites)