«Volevo soltanto una linea musicale che fosse portatrice di un’anima, come quella che esisteva nei canti di epoche lontane». (Arvo Pärt).
Arvo Pärt, compositore estone nato nel 1935, oggi conosciuto da un vasto pubblico per il suo stile compositivo ridotto all’essenziale, arriva a questo modo di comporre dopo un lungo periodo di silenzio auto-imposto.
All’inizio degli anni Settanta, infatti, dopo aver passato decenni a scrivere in stile dodecafonico, Pärt si rende conto di non poter più proseguire nel suo lavoro seguendo una strada che in fondo non sente sua e cessa di scrivere. Il suo obiettivo diventa quello di trovare «una linea musicale portatrice di un’anima, una monodia assoluta, una nuda voce da cui tutto ha origine».
Per anni scrive migliaia di pagine di esercizi cercando melodie a una voce, prendendo spunto dai salmi e da un libro di canti gregoriani che aveva a disposizione, nel tentativo di sviluppare un nuovo orecchio; rinunciando pertanto anche all’ascolto di altra musica, per non esserne influenzato.
Nasce così lo stile tintinnabuli, come sviluppo della più antica tradizione musicale occidentale; Pärt si allontana dalla conflittualità e della complicazione di certi linguaggi del ‘900 per ri-scoprire e ri-fondare il rapporto con le origini. In questo stile la polifonia è vista come unità: come la luce che si scompone attraversando un prisma, così le varie voci altro non sono che sfaccettature della voce principale, così strettamente connesse ad essa da costituire con essa una cosa sola.
Pärt è convinto inoltre che la musica risieda già nella parola e che il suo compito sia quello di estrarla e farla vibrare, per questo il rapporto con il testo è così importante nelle sue opere. E qui veniamo allo Stabat Mater, lavoro del 1985 per trio d’archi e trio vocale. Ciò che l’autore individua in questo testo è la compresenza del dolore smisurato con l’idea del possibile conforto, della speranza: «Come se due materie completamente diverse si sovrapponessero, ad esempio la lava eruttata da un vulcano che finisce nell’acqua… quanto sono vicini, questi testi, all’intima verità, alla purezza, al bello, a quel nucleo ideale cui ogni essere umano è legato! Questo nucleo è come un sistema solare dove ogni cosa è correlata con tutto il resto (…); mi sono lasciato guidare da testi che sentivo particolarmente vicini e che per me sono carichi di significato esistenziale».
Nella stesura di questo lavoro Arvo Pärt si basa sulla parola, individuandone l’elemento metrico e su di esso erigendo l’opera intera; ci offre dunque un’occasione per andare più a fondo con il testo di Jacopone da Todi: ci aiuta a percepire “la gioia misteriosa, la consolazione paradossale, la certezza piena di vigore e di sfida alle cose che accadono”.
(Giacomo Grava)
Stabat Mater
Jacopone da Todi
Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.
Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius.
O quam tristis et afflícta
fuit illa benedícta
Mater Unigéniti!
Quae moerébat et dolébat,
pia mater, cum vidébat
nati poenas íncliti.
Quis est homo, qui non fleret,
Christi Matrem si vidéret
in tanto supplício?
Quis non posset contristári,
piam Matrem contemplári
doléntem cum Filio?
Pro peccátis suae gentis
vidit Jesum in torménti
set flagéllis subditum.
Vidit suum dulcem natum
moriéntem desolátum,
dum emísit spíritum.
Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam.
Fac, ut árdeat cor meum
in amándo Christum Deum,
ut sibi compláceam.
Sancta Mater, istud agas,
crucifíxi fige plagas
cordi meo válide.
Tui Nati vulneráti,
tam dignáti pro me pati,
poenas mecum dívide.
Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero.
Iuxta crucem tecum stare,
te libenter sociáre
in planctu desídero.
Virgo vírginum praeclára,
mihi iam non sis amára,
fac me tecum plángere.
Fac, ut portem Christi mortem,
passiónis fac me sortem
et plagas recólere.
Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruóre Fílii.
Flammis urar ne succénsus,
per te, Virgo, sim defénsus
in die iudícii.
Fac me cruce custodíri
morte Christi praemuníri,
confovéri grátia.
Quando corpus moriétur,
fac, ut ánimae donétur
paradísi glória.
Amen.