MARSHALL/ Un nome, un mito, molto più di un amplificatore

- Alberto Contri

Marshall, un nome stampato per sempre nella memoria di milioni di chitarristi. Come nacque il mito degli amplificatori che fecero risuonare il rock nel mondo. Il racconto di ALBERTO CONTRI

SlashRockR400 Slash dei Guns'n'Roses (Infophoto)

Se in questi giorni, navigando, passate sul sito web della Marshall Amplification, non trovate come sempre i famosi amplificatori, ma una pagina nera con la foto di Jim Marshall e un commosso necrologio, con l’invito a postare i propri messaggi di commento o di cordoglio: «È con profondo rimpianto che annunciamo il trapasso del nostro amato fondatore e leader durante gli ultimi cinquant’anni – si legge sulla pagina -. Nonostante il cordoglio, rendiamo omaggio a un uomo leggendario che ha condotto una vita piena e ricca di esperienze. Oltre ad aver creato gli amplificatori scelti da numerosi chitarristi, Jim era un uomo umile e generoso che, negli ultimi decenni, ha donato senza clamore milioni di sterline a cause meritevoli».
«Il rock’n’roll non sarà più lo stesso senza Jim, ha scritto su Twitter l’ex chitarrista dei Guns’n’Roses, Slash, «ma i suoi amplificatori vivranno per sempre». Anche il bassista dei Mötley Crüe Nikki Sixx gli ha reso omaggio, dichiarando che a Marshall sono da attribuirsi «alcuni dei più grandi momenti nella storia della musica – e il 50 per cento almeno delle nostre perdite di udito».
Questo commento un po’ cinico può aiutare a comprendere la principale caratteristica degli amplificatori Marshall: la potenza, la capacità di distorsione  e di feedback.

Come già abbiamo fatto in occasione della scomparsa di Leo Fender (a proposito, come non notare che in poco tempo, insieme a Les Paul, sono scomparsi tre miti della musica rock che hanno creato alcune delle più importanti aziende del settore) occorre qualche spiegazione in più per far comprendere in cosa è consistita la sostanziale innovazione di Marshall.

Se il suono che nasce dalla chitarra è il risultato di un sistema di risonanze frutto del rapporto tra cassa, tastiera, pick-up, corde (e, non ultimo, tocco del chitarrista), occorre dire che un ruolo fondamentale lo gioca l’amplificatore, a sua volta composto da una sezione preamplificatrice (quella che stabilisce il tipo di suono), quella amplificatrice (che ne stabilisce la potenza) e dalla sezione altoparlanti (a loro volta importanti per la qualità del suono). Non va dimenticato il ruolo del “cabinet”, il mobile che contiene il tutto, il cui legno e la cui fattura giuoca un ruolo non secondario.

I primi amplificatori apparvero intorno al 1946 ad opera di Leo Fender. Nel ’50 uscirono i primi Gibson, ed erano tutti a valvole.

Così come lo era il prototipo che Jim Marshall incominciò a testare intorno al 1962, sollecitato da chitarristi come Pete Townshend e Richie Blackmore, che andavano in cerca di un suono più potente di quello degli amplificatori in circolazione. 
Jim non ha mai fatto mistero di essersi ispirato al modello Bassman della Fender per il tipo di suono. Ben presto arrivò però a studiare una circuitazione in grado di fornire – sostituendo le valvole inglesi a quelle americane – la potenza richiesta ad un cabinet con 4 altoparlanti da 12”, anch’essi prodotti dalla inglese Celestion. Il mito dei Marshall era nato.
Di lì a poco cominciò a fiorire l’abitudine di disporre sul palco addirittura un muro di Marshall, cosa che piacque subito a Jimi Hendrix e a molti altri.

 

Il suono delle valvole è caldo, corposo, e capace di trasformarsi in una distorsione particolarmente gradita ai suonatori di blues. Jim Marshall portò alle estreme conseguenze questa caratteristica, dotando i suoi ampli di una particolare capacità di “innescare” se la chitarra viene avvicinata agli altoparlanti: tecnica che – pur partendo da quello che teoricamente è un difetto, il cosiddetto feedback sonoro – Jimi Hendrix tra i primi trasformò in una modalità espressiva. Complessivamente, gli amplificatori Marshall divennero alfieri del suono “British”, come i Fender lo era di quello “American”.

Ma quando apparvero sul mercato i transistor, Jim non si lasciò sfuggire l’occasione: considerato che le valvole erano costose oltre che molto delicate (soprattutto quelle di allora) e facili al surriscaldamento e alle rotture, si mise a produrre amplificatori a transistor, in grado di offrire fedeltà nella riproduzione del suono, ma con molta maggiore potenza in spazi contenuti, resistenza e longevità. Il suono più secco e potente rispetto a quello grasso e meno potente delle valvole ha fatto sì che i transistor della Marshall divenissero ben presto i prediletti dei musicisti heavy metal.

Che fossero a valvole o a transistor, è davvero lunga la lista delle band che hanno scelto di suonare con i Marshall: Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, Who, Cream, Clash, U2, Radiohead, Guns N’Roses, Aerosmith…
Ne ha fatta di strada l’ex batterista handicappato che partendo da un piccolo laboratorio ha diffuso nel mondo il British Sound, venendo pure accolto nella Rock and Roll Hall of Fame. Ci ha lasciato a 88 anni, ma continua a far sognare i ragazzi di oggi, come Leo Fender e Les Paul.

(Alberto Contri)





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