L’anno scorso sono state 155mila le persone che hanno seguito la vastissima offerta musicale di “MITO Settembremusica”, il Festival Internazionale che dal 2007 unisce le città di Torino e Milano in un fitto calendario di eventi musicali. Dal 5 settembre e per tre settimane, i due capoluoghi, quello piemontese e quello lombardo, ospiteranno settantadue concerti che coinvolgeranno 290 artisti in 51 location e che spazieranno dalla musica classica alla contemporanea, dal jazz al rock, dal pop alla musica etnica: musica di qualità offerta gratuitamente o a prezzi popolari e affiancata da proiezioni di film, tavole rotonde,mostre, incontri e una serie di iniziative esclusivamente pensate per bambini e ragazzi.
Gli spazi sono i più disparati, si va dai grandi templi della cultura, sino ai luoghi di culto, piazze, musei, parchi, metropolitane e anche università; non mancheranno i grandi spazi come il Palasharp o il Forum di Assago di Milano che diventano teatro di straordinari concerti, facendo accostare alla musica classica, spesso per la prima volta, platee di migliaia di persone. Per il quarto anno, la manifestazione sarà anticipata dall’ “aperitivo musicale” di “MITOfringe”, una golosa anticipazione che coinvolgerà luoghi non usuali della città di Milano. Orchestre ed esibizioni invaderanno dal 6 giungo sino al 7 luglio anche quartieri periferici della città come Niguarda o l’Ospedale San Raffaele. Una manifestazione che a Torino “resiste” da 34 anni: il Festival, infatti, è costretto a lottare contro i tagli alla cultura previsti dal Comune, fra gli organizzatori della manifestazione e la carenza degli sponsor che, in tempi di crisi, preferiscono investire altrove. Abbiamo raggiunto per Il Sussidiario.net, Claudio Merlo, Direttore organizzativo e Coordinatore artistico della parte torinese del Festival.
Anche quest’anno, nonostante scarseggino le risorse finanziarie, gli appuntamenti sono moltissimi. Come riuscite a resistere?
Sebbene a Torino il taglio del bugdet del Festival è stato intorno ai 900mila euro siamo riusciti a creare un cartellone all’altezza. In quest’ottica, per noi ha voluto dire eliminare concerti al Pala Isozaki, dove si registravano costi strutturali veramente consistenti. L’altra strada è stata quella di rielaborare il tutto dal punto di vista artistico: anziché chiamare una grossa orchestra sinfonica che costa, ad esempio cento, abbiamo scelto formazioni che propongono musiche barocche, che registrano costi più contenuti e che costano poco più della metà.
Avete rinunciato a qualche ospite importante, ad artisti conosciuti?
Tendenzialmente no poiché, già dall’inizio, sapevamo di non poter chiamare nomi altisonanti o conosciuti. Nella logica dell’ammortamento dei costi, abbiamo cercato di scegliere orchestre che erano già presenti in Italia per alcune tournèe, inglobando le loro esibizioni nel nostro cartellone.
In un clima di crisi e ristrettezze è difficile, secondo lei, “difendere” le manifestazioni a carattere culturale?
E’ complicatissimo, sebbene trovo personalmente sempre sbagliato apporre tagli alle iniziative culturali. Ci siamo dovuti ingegnare parecchio nel trovare artisti di livello a costi contenuti. Una situazione come questa, che definirei d’emergenza, può essere gestita per un anno o forse due, poi si chiude. Non puoi reiterare per anni un repertorio di impronta barocca…
Lei pensa che anche i privati debbano fare la loro parte?
Il tentativo che ormai abbiamo appurato essere l’unico per tenere in piedi la manifestazione va esattamente in questa direzione. Sicuramente, è più facile per una città come Milano che è economicamente più forte ed ospita diverse aziende, società e multinazionali con le quali è possibile collaborare.
Torino è decisamente più piccola e quindi i referenti dai quali dobbiamo andare “a battere cassa” sono un numero limitato e magari sono gli stessi che si impegnano già a finanziare progetti più grandi del nostro, ad esempio, per il Teatro Regio o per i concerti del circuito della musica classica. La coperta, come si dice, è corta.
Cosa manca all’Italia per organizzare festival prestigiosi come Lucerna o Salisburgo?
Probabilmente i bugdet che hanno a disposizione. Innanzitutto quello di Salisburgo è un festival di produzione di opere con costi di allestimento da capogiro e che sono ben lontani dal caso nostro e il festival di Lucerna che tratta principalmente musica classica, sinfonica e operistica ha un budget che si aggira sui 30 milioni di euro. Stiamo parlando di manifestazioni di un calibro altissimo. Si possono permettere di chiamare le più grandi e note orchestre americane, con direttori di prima grandezza e pagare per tutti gli artisti del cast vitto e alloggio anche per settimane intere, solo per quattro esibizioni. D’altra parte, la differenza fra MITO e queste realtà è data anche dai prezzi dei biglietti: le loro esibizioni sono spettacolari ma si fanno pagare.
Quindi una concezione diversa?
MITO è partito con due presupposti fondamentali: portare la musica in posti non usuali e, soprattutto, offrire a tutti, anche a persone che non hanno grosse cifre da spendere per un concerto, la possibilità di assistere a esibizioni di buon livello.
(Federica Ghizzardi)