Visto di sfuggita due anni fa al Traffic Festival dove fece una fugace apparizione per quello che fu poco più che uno showcase, il 54enne del Surrey mancava dall’Italia dal 2005 dove, in un Alcatraz sold out, presentò l’album “As is now”. Un buon lavoro che però mostrava un po’ di mestiere e di furbizia. Fu lo stesso un concerto di classe e molto intenso.
I successivi dischi (“22 Dreams” e “Wake Up the Nation”), di livello decisamente superiore, non lo videro sbarcare dalle nostre parti, cosa che ora accade con “Sonick Kicks”. Paul si ripresenta con ben tre concerti lungo la nostra penisola, quello di Vigevano è l’ultimo dell’italian tour. Il nuovo lavoro, decisamente più sperimentale dei precedenti ha trovato molti detrattori: troppo artefatto, ampolloso ed eccessivo.
Effettivamente la nuova direzione è decisamente un’altra rispetto al passato, limitarsi a qualche ascolto distratto non fa uscire il vero mood del disco, credo che Weller evidentemente stia cercando stimoli nuovi infatti dopo qualche attento ascolto nell’insieme “Sonick Kicks” risulta molto buono anche se si intuisce la mancanza di un filo logico tra i brani che sembrano episodi a se stanti e non molto uniformi. Le uniche costanti sono il cuore e l’energia trasmessi.
Premesso tutto questo per la serata vigevanese il timore maggiore è la resa dei nuovi brani di fianco ai pezzi ormai consolidati. Un po’ di sollievo lo danno le indiscrezioni che arrivano dalle prime due date italiane (Roma e Ferrara) dove viene descritto in gran forma, come da anni non lo si vedeva. La tappa “milanese” è inserita nel cartellone del festival “10 giorni suonati” che si tiene, al solito, nella splendida cornice del castello di Vigevano quindi: zanzare, ottima birra artigianale e cibo a km zero fanno da cornice al concerto.
Poco dopo le 22 Weller e la band, in cui spicca il caposaldo Steve Cradock (ex Ocean Colour Scene) alla chitarra solista, salgono sul palco e parte una “Wake up nation” che è una dichiarazione d’intenti: tirata e decisa come lo sono le successive “22 dreams” e “Moonshine” (ancora dall’album “Wake up nation”). Un terzetto che spiazza non poco soprattutto per la continuità con la nuova “Kling I Klang”: un tirato punk ‘n roll che lascia senza tregua.
L’atmosfera si calma, ma non stroppo, con la magnifica “Stanley road” con Paul al piano ed è uno degli apici del concerto. Si riparte a mille con “Start!”, pezzo dei Jam, che credo così potente non sia mai suonata: basso funky, chitarre taglienti e cori perfetti. Seguono diversi pezzi nuovi: “The Attic” che sembra già un classico, la misteriosa “Around the lake” che depurata dalla parte più artificiosa è decisamente più ficcante della versione da studio e “Study in blue” con sonorità dub un po’ fuori tempo e poco consona al resto del concerto.
Da notare la presenza dell’affascinante (e giovanissima) moglie Hannah Andrews, che nonostante sia “raccomandata”, ha una bellissima voce. La scaletta scorre tra brani del recente passato dove spiccano: “You Do Something To Me”, ballata strappacuori e “The Changingman” più tirata e grezza dell’originale. Del passato remoto, leggasi brani dei Jam, oltre alla suddetta “Start!”, vengono eseguite: “Art School”, “In the city” e “Town called malice” che chiude il concerto e proprio questa canzone fa capire quanto le generazioni del brit-pop debbano a Paul Weller.
Inutile dire che all’ex Jam e Style Council le sfide piacciono e gli piace vincerle. Non disdegnando il suo passato i brani nuovi sono innestati tra i classici senza sfigurare e senza dubbio qualcuno finirà per rimanere nelle setlist per rimanerci un bel po’. A differenza di molti colleghi che preferiscono eseguire un greatest hits del passato snobbando o quasi i brani degli ultimi lavori, Paul Weller ne fa l’ossatura del concerto e ha ragione.
Un concerto energico e senza troppi fronzoli, di classe (le scarpe bicolor di Weller spettacolari), deciso e senza prigionieri: due ore abbondanti di sudore e chitarre sferzanti e colpi al cuore. Peccato che il pubblico non fosse numeroso come avrebbero meritato sia Weller che la location. Come si dice in questi casi: peggio per chi non c’era!
(Raffaele Concollato)