HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL 2012/ Ecco i Cure, il finale con le stelle dopo nove anni di assenza dall’Italia
Attesissimi dal numeroso pubblico dopo ben nove anni di assenza dalle scene italiane i Cure, gruppo musicale post-punk inglese, hanno chiuso la serata dell’Heineken Jammin Festival

Ieri sera, sabato 7 luglio, si è consumato l’ultimo capitolo dell’Heineken Jammin’ Festival 2012 questa volta baciato da un sol leone tipicamente estivo. Headliner della serata sono stati i Cure, gruppo musicale post-punk inglese, assenti da ben nove anni dalle scene italiane. Attesissimi dal numeroso pubblico, la band britannica non delude e propone quasi tre ore di grandi successi, incalzanti e senza mai spezzare il ritmo. La band di Robert Smith è in grandissima forma e i trentaquattro pezzi in scaletta ne sono l’evidente risultato. “Plainsong”, “Picture of you”, “Lullaby”, “High” e “The end of the world” sono la prima infilata di successi che lascia senza fiato il pubblico del Heineken Jammin’ Festival. Impossibile chiedere di meglio. E il meglio arriva: “Lovesong”, “Sleep when I’m dead”, “Push”, “In between days” e “Just like heaven” non lasciano dubbi. I Cure sono veramente in forma. Hanno la stessa voglia, lo stesso fuoco che li ha animati piu’ di trent’anni fa. Lasciano senza fiato. Il palco è semplice, niente scenografie, solo grandi giochi di colori e tanto fumo. Niente fronzoli: solo The Cure. Di poche parole, Robert Smith, rossetto rosso vivo e capelli come sempre sparpagliati, ballicchia con quel modo un po’ goffo che tipicamente lo contraddistingue. La sua voce arriva cristallina e pulita come raramente abbiamo sentito. Sulla sua chitarra un adesivo con scritto “2012: Citizens not Sobjects” è un messaggio a tutti i presenti. La performance continua con “The edge of the deep green sea”, “The hunghry ghost”, “Play for today” , “A forest”, “Primary”, “The walk” e la cantatissima “Friday I’m in love”. Robert balla e sorride più volte al pubblico, quasi una rarità questo atteggiamento. Con “Doing the unstuck”, “Trust”, “Want”, e una tiratissima “Wrong number”, “One hundred years” e “Disintegration” portano alla band inglese il primo momento di pausa. Giusto il tempo di bagnarsi le labbra e si riparte. Il concerto si conclude con “Dressing up”, “The lovecats”, “The caterpillar”, “Close to me”, “Just one kiss”, “Let’s go to bed”, “Why can’t I be you” e l’immancabile “Boys don’t cry”. Un sorprendente crescendo dal finale emozionante. I Cure hanno dimostrato di esserci. Lo hanno dimostrato sul palco, con i fatti. Con la loro carica, il loro coinvolgimento, il loro talento e con l’emozioni che ieri sera sono arrivate tutte.
Unici artisti della serata degni di nota, oltre ai Cure, sono i New Order, gruppo post-punk/dance nati dalle ceneri dei Joy Division dopo il suicidio del cantante Ian Curtis e pietre miliari della musica degli anni 80. “Elegia”, “Idolation”, “True Faith”, “Ceremony”e Love will tear us apart riportano la mente a tempi passati che come per incanto diventano attuali sul palco dell’ Heineken Jammin Festival. Certo Bernard Summer non ha la pasta vocale del compianto Curtis, ma a noi può felicemente bastare.
(Angelo Oliva)
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