Per una mera coincidenza, il Teatro dell’Opera di Roma, dopo essere stato inaugurato con ‘Simon Boccanegra’ il 27 novembre scorso concertato da Riccardo Muri, propone dal 6 al 16 marzo “I Due Foscari” , sempre con la bacchetta di Riccardo Muti. Una coincidenza analoga (ma senza Muti) si verificò nel ‘mese verdiano’ per eccellenza del 2009 quando a Parma il Festival Verdi venne aperto con “I Due Foscari” e quasi in contemporanea la stagione del Teatro Massimo di Palermo si chiudeva con ‘Simon Boccanegra’ Si tratta di due opere che soltanto di recente sono entrate nei repertori dei teatri.“I Due Foscari”, ignorata per decenni, si è vista di recente anche alla Scala e viene portata da Muti e dai complessi del Teatro dell’Opera in Giappone. “Boccanegra”, opera “maledetta” e ignorata da fine Ottocento al 1937, si è vista anche in una coproduzione tra La Scala, il Metropolitan e la Staatsoper unter den Linden di Berlino. Sono due lavori distanti nel tempo: “Foscari” è del 1844, le versioni di “Boccanegra” del 1857, del 1859, e del 1881( quella correntemente rappresentata). Ambedue si basano su vicende storiche (romanzate a fosche tinte) ed hanno due temi fondanti: i rapporti con il mondo della politica e le relazioni tra padre e figli
Soffermiamoci sul primo tema. In “Foscari”, il Doge di Venezia viene defenestrato da una congiura , dopo essere stato eletto ripetutamente per 35 anni ed avere due volte rimesso il mandato; il complotto si basa su un’accusa infamante nei confronti del proprio figlio, costretto all’esilio ed al suicidio. In “Boccanegra” , “un uomo del mare” (ossia della vita produttiva) accetta di entrare in politica per sposare la figlia di un aristocratico, governa la Repubblica di Genova per un quarto di secolo ma viene distrutto proprio da coloro che gli avevano chiesto di essere disponibile alla vita pubblica. In “Foscari” (tratto da un poema di Byron pregnante di pessimismo), il trentunenne Verdi vede la politica come un gioco di potere che annienta i valori migliori (l’amore paterno, la terzietà della giustizia).
Più complesso, il cammino delle varie versioni di “Boccanegra”. In quegli anni , si compiva il Risorgimento; su insistenti pressioni di Cavour, Verdi venne eletto al primo Parlamento del Regno nel 1861, ma diede le dimissioni a poco più di metà mandato. Nominato senatore a vita nel 1874, frequentò raramente il Palazzo e scriveva alla moglie che l’unico aspetto positivo del Senato erano i divani dove si poteva dormire profondamente. Un distacco dal “teatrino della politica” analogo a quello del trentunenne squattrinato, suddito del Granducato di Parma e Piacenza, alle prese con la burocrazia del Papa Re (“Foscari” era una commissione del Teatro Argentina di Roma)? Niente affatto, le diverse versioni di “Boccanegra” e l’epistolario verdiano rivelano come Verdi fosse un partecipante (anche se non entusiasta) al movimento di unità nazionale, ma diventasse progressivamente deluso da una “politica politicante” (come il protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto) sempre più distante dalla sua visione lungimirante .
Nella scena-chiave di “Boccanegra”, il Doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca a porre fine delle guerre tra le Repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare insieme per un’Italia libera, ma non è compreso né dai patrizi né dai plebei; ciò innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra” (parte dei cui temi “politici” verranno ripresi in “Don Carlo” ed in “Otello”) svela un rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola ed i programmi per realizzarla vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a intrighi. Ho commentato la produzione presentata il 27 novembre a Roma su Il Sussidiario del 29 novembre.
“I Due Foscari” è l’opera più breve di Verdi . E’ cupa, tratta da un poema ancor più cupo di Byron. Dimenticata nell’Ottocento, “riscoperta” da Carlo Maria Giulini per una delle memorabili esecuzioni della Rai. Venne ripresa sotto l’egida di Francesco Siciliani per il “Maggio Fiorentino” e definitivamente rilanciata da Bruno Bartoletti a Roma nel 1968 in un allestimento magico che approdò al Metropolitan e preparò il vero e proprio “revival”. In scena non avviene nulla o quasi in quanto tutto accade prima e i fatti di rilievo che succedono durante i tre atti si verificano, in gran misura, dietro le quinte. Ha solo tre personaggi di rilievo e dato che segue quasi le regole dell’unità aristotelica (tutto in un giorno, nel Palazzo Ducale e dintorni), anche lo sviluppo psicologico dei protagonisti è limitato.
Ildebrando Pizzetti, che ne adorava lo spartito e ne promosse la rappresentazione scenica del 1968, ne vedeva un dramma in musica modernissimo. In effetti, anche se “I Due Foscari” appartiene agli “anni di galera” di Verdi (e come tale venne eseguita nella versione concertata da Maurizio Arena nell’edizione discografica Nuova Era del 1984), è una tragedia lirica, per alcuni aspetti agganciata alla prima metà dell’Ottocento e per altri già rivolta alla fine del secolo, se non già al Novecento: pezzi chiusi, naturalmente, ma pochi; intercalati da brevi intermezzi; enfasi sul declamato; un continuo orchestrale denso di mezze tinte, pur nella cupezza generale dell’opera, un prodigioso sestetto , un concertato di grande livello ed arie con cabaletta da virtuosa . Non è solo una tavolozza di “ Boccanegra”, uno dei lavori più sentiti da Verdi che ci lavorò per quasi tre lustri, nonché tra i più commoventi. È un piccolo, scarno capolavoro imperniato sull’amor filiale, tema centrale della vita e dell’opera di Verdi. Ne erano appassionati Tullio Serafin, Bruno Bartoletti e Gianandrea Gavazzeni. E questo ne spiega il successo degli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti. L’ascoltare attento si accorgerà che ‘I due Foscari’ anticipano i leit motiv di Wagner , anche se non credo che mai Wagner l’ascoltò data la poca diffusione dell’opera dopo le recite al Teatro Argentina di Roma.
L’edizione che si vedrà di nuovo a Roma dal 6 al 16 marzo è stata fortemente voluta da Riccardo Muti. La regia di Werner Herzog e le scene ed i costumi di Maurizio Balò ci portano in una Venezia fredda e glaciale, quasi spettrale. Luca Solari è Francesco Foscari, Francesco Meli Jacopo, e Tatiana Serjan (in alternanza con Csilla Borross Lucrezia. Da non perdere.