“Voglio che Gesù entri qua dentro” dice suor Cristina poco prima di lanciare il Padre nostro che conclude The Voice con la vittoria (annunciatissima) della religiosa. Perché Gesù “deve entrare qua dentro”? Che cos’è The Voice, un luogo di perdizione, di maleficio, di inganno, di bruttura? Per quanto chi si esibisce a The Voice e generalmente a tutti i talent show televisivi (rarissime le eccezioni, forse Alessandra Amoroso e Mengoni) esibiscano bruttissime voci, non ci sembra che The Voice meritasse una particolare presenza del buon Dio. The Voice è un innocuo show televisivo come milioni di altri, che non fa né male né bene, semplicemente come tutto ciò che passa in televisione “distrae”.
E’ proprio su questo finto scontro tra fede e ateismo, tra acqua santa e diavoletti, tra veste religiosa e tatuaggi (i quali, lo sappiamo, ormai se li fanno anche i direttori di banca) che si è giocata l’ipocrisia e la banalità di questa inesistente disputa religiosa che ha portato a questa edizione di The Voice un pubblico globale, calcolato in decine di milioni di spettatori, o su prime pagine anche sul New York Times.
Ma in realtà non c’era nessuna disputa religiosa, perché J-Ax e Piero Pelù sono dissacranti e blasfemi quanto lo è mia figlia di 11 anni quando ascolta gli One Direction. Cioè non lo sono per nulla.
Si sa come la scelta di suor Cristina sia stata una pura invenzione di marketing baciata dal grande successo. Dopo i gay, i transgender e quant’altro, tutti presentati come fenomeni da baraccone alla faccia dei tanto decantati “diritti umani” e del rispetto per le differenze di sesso, portati negli ultimi anni in televisione per ottenere colpi di audience, rimaneva solo la suora da esibire. In realtà non è la prima volta, da Fra Cionfoli a Jeanine Deckers, conosciuta come Suor Sorriso, protagonista di una storia terribile, cominciata come quella di Suor Cristina vendendo milioni di dischi e finita nel suicidio, i religiosi in tv hanno sempre acchiappato bene in termini di audience. Ma quest’anno, complice la popolarità di Papa Francesco a livello mediatico, ci stava benne la suora che poi si collegava a un altro grande fenomeno mediatico, Sister Act, che noi italiani facciamo sempre fatica ad essere originali.
Suor Cristina sono andati a cercarla e a tirarla fuori dall’oratorio dove svolge la sua attività, lei manco sapeva cosa fosse The Voice. Hanno chiesto ai suoi superiori e loro l’hanno “inviata”. Un po’ di consenso mediatico alla Chiesa interessa sempre, pensiamo all’orribile spettacolo musicale che è stato proposto prima dell’intervento del Papa alla giornata della scuola poche settimane fa, nel tentativo di acchiappare qualche spettatore. O pensiamo a quell’autentica bestemmia che fu l’esibizione di Imagine davanti a Giovanni Paolo II al congresso eucaristico del 1997, la canzone più anti religiosa della storia del rock presentata come un inno a… che cosa? Al buonismo e al qualunquisimo, che è quello che la massa e le televisioni pensano sia la fede cristiana. In questo contesto Suor Cristina non ha fatto eccezione, mandata sotto alle telecamere per esaltare questo tipo di fede all’acqua di rose, del “volemose bene”.
Suor Cristina peraltro non sa cantare neanche molto bene. Ha una bella voce sì, ma come migliaia di altre sue coetanee, non riesce a raggiungere certe note alte che farebbero la differenza, è scomposta e anche sguaiata come insegna la moda canora televisiva di Amici e spettacoli analoghi. Bisogna urlare per coprire le carenze espressive, ma non c’è nessun bisogno di urlare quando un cantante ha realmente necessità di comunicare qualcosa. E Suor Cristina comunica solo uno sforzo estetico fine a se stesso, niente altro, come comandano i talent show televisvi.
Quel Padre Nostro allora? Quel “voglio che Gesù entri qua dentro, allora? E’ sempre bello pregare e di questo va ringraziata alla fine Suor Cristina. Anche se l’effetto è stato un po’ quello di quando i calciatori fanno finta di cantare l’inno nazionale, nessuno ne sapeva le parole. Va detto poi che un Padre Nostro in diretta televisiva mondiale si era già sentito sul palco di un concerto, quando David Bowie fece inginocchiare decine di migliaia di persone allo stadio di Wembley, la sera del tributo allo scomparso Freddie Mercury. Sicuramente quella volta quella preghiera ebbe una dimensione ben più drammatica, di autentica domanda, di sincero bisogno di qualcuno che ci prenda per la mano e ci conduca fuori della devastazione e dalla morte.
Ma più del Padre Nostro, la cosa migliore Suor Cristina l’ha detta pochi secondi prima: “La mia presenza sicuramente non porta me ma porta chi sta lassù”. Questo è bello. Nel mondo dello spettacolo, si sa, è tutto una magnificazione, una esaltazione, una auto stima di se stessi: guarda mamma come sono bravo. Suor Cristina ha spostato l’attenzione mediatica da sé a chi le dà consistenza, a chi le dà un significato esistenziale.
Anche se a noi non è dispiaciuto anche l’urletto di Pelù quando ha sentito “Padre Nostro”: “Ronnie James Dio” ha detto, ricordando il cantante heavy metal scomparso che si faceva chiamare appunto Dio. E’ stato tutto un grande gioco, The Voice, dove Suor Cristina ha giocato anche lei. Che cosa resterà adesso? Nulla, come sempre quando si spegne la televisione. A Suor Cristina consigliamo di imparare una canzone di un ebreo ateo, metà buddista e metà rabbino, che ha invocato Dio in ogni sua canzone, immerso nel peccato e nella domanda di salvezza, anche quando cantava di sesso e disperazione. Le consigliamo Anthem di Leonardo Cohen, che dice: “Cè una crepa in ogni cosa, ed è da lì che passa la luce”. Non la luce del palcoscenico televisivo, però.