Oltre la coppia “strana” tra i cantanti tradizionali (Coruzzi – Di Michele), la prova che quello di Conti sia un tentativo di ritorno al classico Sanremo di Baudo è la presenza di un comico, di una figura da cabaret che porti ironia e humour in musica. Dopo Paolo Rossi, Francesco Salvi e Gigi Sabani, quest’anno tocca al duo Biggio – Mandelli, meglio noti come I soliti idioti, che con “Vita d’inferno” portano la comicità sul palco dell’Ariston. Che affrontano esattamente i temi di ogni cabarettista da televisione, la vita di tutti i giorni, gli spiccioli di quotidianità vuota che nel brano, ripulito e molto educato rispetto alla loro verve solita (basti pensare che la rima milioni – coglioni sarà coperta dai fiati), diventano occasioni per battutine da bar. Su andamento che ricorda Jannacci e Cochi e Renato – a cui evidentemente si rifanno – i due elencano quelle che secondo loro sarebbero gli accidenti della vita che la renderebbero un inferno (“Fortuna che non dura che in eterno / Se lo sapevo prima rimanevo dentro l’utero materno”): ovvero la mancanza di connessione wi-fi, il figlio che non fa vedere la partita al padre (“E all’ora della Champions League / Mio figlio vuol vedere Peppa Pig”), i ristoranti troppo cari e il parcheggio che non si trova. L’ABC del cabarettista alle prime armi in pratica, con uno stile semplicissimo e immediatamente memorizzabile (il brano è scritto dai due assieme a Ferro, che con loro ha scritto anche le canzoni dei film e degli sketch del duo) e rime piuttosto pronte per l’uso. Tra l’altro sul tema dell’inferno o del rapporto tra al di qua e al di là altri cantanti cabarettisti avevano detto la loro come Sabani (La fine del mondo, scritta da Toto Cutugno per Sanremo ’89) o Elio e le storie tese (Dannati forever), qui ci si limite alla lamentela da fila alla posta, con annessa auto-giustificazione: “È vero che c’è sempre chi sta peggio / Chi affoga proprio mentre io galleggio / Ma non è poi così rassicurante / Se quel che affoga era il tuo galleggiante”. Sia chiaro, da Biggio e Mandelli nessuno si aspetta acute riflessioni politiche, excursus sulla crisi o comunque altro che non sia la voglia di far ridere; ma, quanto meno, un abbozzo di satira sociale, di messa alla berlina del nuovo italiano sì, come hanno fatto – a prescindere da come si valutino i risultati – nei loro film e serie tv precedenti: in Vita d’inferno invece si predica la lagnanza misera come un “diritto dell’uomo” (“Sono milioni di milioni tutte le generazioni / Che han vissuto nonostante il giramento di…”). Un solo momento più sgradevole quando i due cantano “L’essere umano è un dono del creato / Ancora di più se penso che son nato / E che son vivo / Per la rottura d’un preservativo”, ma è nulla di più di una boutade messa forse per scioccare i benpensanti. Restano così un sospetto e una certezza: che “Vita d’inferno” serva semplicemente a promuovere “La solita commedia”, il nuovo film del duo, in uscita nelle sale a marzo, in cui il protagonista è Dante che deve creare nuovi gironi infernali sulla Terra. E che i limiti, anche mostruosi, dell’italiano contemporaneo siano molto più a fuoco e divertenti in mano a Maccio Capatonda che ai due soliti idioti.