Ci sarebbe da aprire un capitolo non sappiamo di quante pagine, sicuramente tante, del grande libro della canzone d’autore italiana alla voce Luigi Greghi De Gregori. Fratello maggiore di Francesco, e in un certo senso fratello maggiore di almeno un paio di generazioni di cantautori, se non fosse stato per lui la nostra canzone d’autore sarebbe quantomeno priva di una gamba. Zoppicherebbe ancora ferma ai chansonnier francesi. Luigi invece con i suoi viaggi avventurosi negli States portò, in tempi insospettabili, a casa dischi, canzoni e una attitudine che hanno poi influenzato tantissimi, creando quel crossover con la canzone d’autore americana che ha contraddistinto almeno fino a un po’ di tempo fa la nostra di canzone.
Lui è sempre rimasto “fedele alla linea” e ancora oggi è il Woody Guthrie italiano, texano nel cuore, innamorato a dosi giuste dei vari Tom Russell, Townes Van Zandt, Guy Clark al cui confronto non sfigura. “Tutto quello che ho 2003-2013” è una raccolta di diciotto brani da lui scelti nei suoi ultimi tre lavori discografici, visto che ormai erano fuori catalogo (“Pastore di nuvole”, “Ruggine” e “Angeli e fantasmi”): “Non semplicemente i migliori, ma soprattutto quelli che considero arrivati a una loro versione “definitiva”, a quella che meglio mi rappresenta. E così, mettendo le canzoni una dietro l’altra, mi sono accorto che la raccolta, malgrado qualche differenza nella qualità della registrazione, aveva una sua unità e, malgrado la semplicità dei suoni (o forse proprio per questo), i brani non erano per nulla invecchiati. Quello che mi aspetto è che un pubblico diverso e ben più ampio di quello dei miei aficionados scopra questa raccolta e le sue diciotto canzoni (a parte “Il bandito e il campione”) come un novità assoluta” spiega lo stesso Luigi.
Ecco allora che tra pedal steel, corde d’acciaio di chitarre e mandolini, violino e fisarmonica si snoda una teoria di bellissime canzoni che narrano storie di tutti i giorni, tra sopravvivenza e sogni mai infranti. Brani che si tuffano nel Rio Grande, tra Texas e Messico come Le vespe, inserti rock come in Didgeridoo, purissima canzone folk come Al primo canto del gallo, riuscito esempio di mix tra canzone americana e popolare italiana, la versione originale in italiano da lui tradotta de L’angelo di Lyon, poi incisa anche dal fratello Francesco. Ci sono chicche come un vecchio brano del fratello da lui mai inciso, La strada è sfiorita, la resa in italiano di un brano di Tom Russell e Peter Case, la nostalgica Ma che vuoi da me, l’attualissima Al di là del confine con inserti in dialetto veneto, tra migranti del passato e migranti di oggi.
Come quando al Folkstudio trasteverino introduceva giovani cantautori alle prime armi poi diventate star nazionali, la speranza è che altrettanti giovani si abbeverino oggi alla fonte dell’eterna giovinezza di Luigi Grechi De Gregori, dimenticando l’oscenità dei talent show e imparando una nuova canzone d’autore degna di questo nome.