POSTA NOTTURNA/ Love over Gold: l’amore più dell’oro (prima parte)

- Corrado Sala

Un lungo racconto di CORRADO SALA, questa è la prima parte, ne usciranno altre due puntate. L'amore ai tempi di Facebook, Raymond Carver, Bob Dylan e i Dire Straits

loveovergold_R439 Foto di Corrado Sala

Si conobbero un giorno all’uscita dal conservatorio. Lei aveva vent’anni, lui cinquantadue. Lui aveva sempre cercato l’amore assoluto, lei aveva appena cominciato a cercarlo. Lo trovarono entrambi quel giorno. C’era solo un problema, quel maledetto problema: lei aveva trent’anni meno. Trentadue, per la precisione. Un tempo infinito. Ma l’amore, come quello di Dio, è un mistero senza tempo, anni o stagioni. E’ una luce che passa, tutto qui, e quel giorno la luce passò negli occhi di entrambi. Proprio lì, all’uscita dal conservatorio.

In realtà le loro vite si erano già toccate prima. Da dicembre ad aprile qualcosa era accaduto. Lui le aveva chiesto l’amicizia su Facebook, incuriosito da quella ragazza che suonava il sax e studiava russo. Aveva solo vent’anni e la bellezza della primavera, eppure sembrava arrivata da un tempo segreto e distante. Quel sorriso che vide gli parve come la primavera, la ricompensa dopo un lungo inverno e una stagione ostile.  Quella richiesta lei l’aveva accettata, sorpresa da quell’uomo che faceva i conti con le ferite e i sogni di altre stagioni. Un tempo che anche a lei parve segreto e distante. Ogni cosa che lo riguardasse, infatti, sembrava trafitta dallo stigma della vita passata. Lei leggeva le sue parole e ogni volta lui gli faceva sempre lo stesso effetto. Quello di chi sembra camminare a ritoso mentre il treno lascia la stazione. Ecco, era esattamente così che lei lo vedeva: fermo sul marciapiedi, allontanarsi velocemente come un uomo intravisto dall’ultimo vagone di un treno.

Era stata questa la prospettiva con la quale da dicembre ad aprile si erano cercati. Poi, quel giorno, si trovarono. Uno di fronte all’altra. Certe vite sono un cerchio e sono destinate a trovarsi. Per entrambi la corsa si era fermata a pochi passi dal conservatorio, davanti a quel bar dal nome che sembrava un presagio: “Dolce Stil Novo”. Di quel loro incontro, infatti, tutto appariva nobile, raffinato, lontano dalla volgarità del mondo e delle convenzioni. Quando lo vide, lei tremava come una foglia, protetta solo da quella nuvola dorata di capelli riccioli, biondi e lunghi che le incorniciavano il viso e lui, quando le disse “ciao” e la salutò con due baci sulle guance, sentì soffiare sull’anima il vento caldo dell’amore a prima vista. Bevvero un succo di frutta e lei nemmeno riuscì a finirlo, incantata davanti a quel vecchio matto che le raccontava storie passate di musica e amore. Amore per il libri, innanzitutto. Una passione che entrambi condividevano. Si parlarono per un’ora ma in realtà era come se si stessero scrivendo dallo stesso tavolo. Come se già avessero stabilito tra loro quel patto segreto che, finita l’estate, si confessarono reciprocamente. Si sarebbero scritti delle lettere, come usava un tempo quando l’amore viaggiava dentro una busta. 

“La vita non è abbastanza lunga per amare – le disse lui un giorno – e io vorrei scriverti. Si, delle lettere, qualcosa che rimanga anche quando io sarò oltre la curva della strada”. Lui amava parlare per immagini, e quella della morte, descritta come una curva in fondo alla strada, l’aveva rubata a Fernando Pessoa. Era davvero convinto che la morte fosse una curva e che un giorno, dopo averla fatta, lui avrebbe ritrovato tutti quelli che gli erano mancati e che, semplicemente, stavano più avanti. Così, pensava, sarebbe stato a sua volta trovato da quelli che un giorno si era lasciato alle spalle. Ormai la suggestione letteraria si era impadronito di lui. Tristano e Isotta,  Abelardo ed Eloisa, Zivago e Lara: pensava a quella ragazza e nella sua mente si affacciavano tutti gli amori tormentati e impossibili. Tante ne aveva lette di quelle storie e altrettante ne ricordava ma tra tutte, vedendo negli occhi di lei quell’espressione tenera e tragica da eroina russa, non poteva fare a meno di pensare ad Anna Karenina e al suo tragico amore per il conte Vronskij. 

A differenza del conte, tuttavia, che era un giovane ufficiale, lui era un giornalista di mezza età che scriveva poesie e racconti. Parlava, scriveva e raccontava principalmente di due cose. Le uniche due che, insieme all’amore, avevano dato un senso alla sua vita: la musica e la letteratura. Fu questo che li unì, la passione per la musica e la letteratura. Parole e note cominciarono a ronzare nel cuore di entrambi come fossero uno sciame d’api e fu per questo che, dopo l’estate, decisero di scriversi. “Qualcosa rimarrà”, disse lui, cercando di esorcizzare l’idea della morte. Una presenza che non poteva certo restare fuori da quella storia. Lui un giorno se ne sarebbe andato, avrebbe oltrepassato la curva in fondo alla strada, e lei sarebbe rimasta sola. Lo sapevano entrambi. “Non ho nulla che valga in denaro – gli disse ancora, sorridendo – ma ho molti libri e una collezione di dischi. Vorrei che li tenessi tu quando io sarò andato via”. A lei vennero due occhioni colmi di commozione. Non riuscì a dire altro che un “sì” doloroso, come se avesse morso una rosa e una spina le avesse bucato le labbra. 

 

Ma non fu il registro della commozione che accompagnò quel poco tempo che divisero. Furono le parole e le note che continuarono a scambiarsi sino alla fine. Dopo quel primo incontro, lui le dedicò anche una poesia. Parlava di un concerto che Bob Dylan avrebbe tenuto nel 2075, a cento anni dal tour della Rolling Thunder Review. Anche in questo caso, il suo fu un esorcismo contro la morte. Come se un appuntamento, messo in là nel tempo, potesse allungare la vita e allontanare la curva dell’ultimo saluto. Poi arrivò ottobre, l’estate era ormai un ricordo, e finalmente cominciarono a scriversi. Quattro lettere d’amore. Tante ne scrisse lei, tante ne scrisse lui. In quel tempo si rividero due volte e, nel mezzo, ci fu anche il tempo per un dono inatteso. A sorpresa lei gli apparve un giorno di fine novembre, avvolta da un cappotto bianco che la rendeva ancora più luminosa e bella. Fu quando lui andò a parlare di Raymond Carver a Termoli, un posto vicino al mare. Come Jerry Garcia per la musica, Carver era il suo punto di riferimento per i racconti. Quel giorno, alla “Casa del Libro”, lei gli apparve con un sorriso che sembrava contenere tutti i sorrisi del mondo. “Venendo da te ho guidato per un’ora e mezza e non ho mai smesso di sorridere”, gli confessò qualche tempo dopo. 

Fu quel giorno, alla fine dell’incontro dedicato a Carver, che lui pregò Dio perché lo ascoltasse e lo esaudisse. Voleva solo che quella ragazza, così giovane, fosse felice. Poi fece anche un’altra preghiera, e chiese a Dio che lo aiutasse a non farle mai del male. E Dio lo ascoltò. Dopo quella, fece in modo di fargliela incontrare per altre due volte e lui non le fece del male. 

 

La prima volta si rividero subito, il giorno dopo Carver. A lui parve la scena di un film e non l’avrebbe mai dimenticata. Lei studiava in posti diversi. Russo, all’università, in una città dolcissima accanto al mare; sax, al conservatorio, nello stesso posto dove lui viveva e lavorava. Il giorno dopo l’incontro su Carver, lei partiva da Termoli per tornare all’università. Quel giorno anche lui era in città. Da Termoli conduceva un programma TV. Quella coincidenza parve a entrambi un segno inequivocabile del destino. Si videro pochi minuti alla stazione ferroviaria. Il tempo di un abbraccio. Lui la vide che lo aspettava, incorniciata da una nuvola di capelli riccioli e biondi. Avvolta da un cappotto nero, gli parve ancora più luminosa e bella del giorno prima. Uno, due, forse tre abbracci. Lei gli regalò un cioccolatino, si baciarono e poi si separarono. Si girarono entrambi, senza che però i loro sguardi si incontrassero. 

Prima lei, poi lui che la vide scomparire di corsa nel sottopassaggio. Correva giù per le scale e i suo capelli gli parvero raggi di sole. Fu in quel preciso istante, in quell’esatto momento della sua vita, che capì di essersi definitivamente innamorato di quella ragazza. Se ne tornò a casa felice, come un battello pieno di bandiere nel giorno del Santo patrono. Percorse la strada che lo riportava a casa con l’urgenza di un telegramma composto di due sole parole: “Ti amo”. Nella sua testa non c’era altro, solo queste due parole: “Ti amo”. Poi, quando la bottiglia del vino che bevve per cena era quasi alla fine, cominciò a riprendere conoscenza e, insieme a quelle due parole, pensò a poche altre cose. Alla volta successiva che l’avrebbe rivista e a quel suo libro di poesie e racconti che stava scrivendo. 

Ci lavorava da circa due anni, era quasi Natale, e pensò che avrebbe passato le vacanze a correggere l’ultima bozza. Poi lo avrebbe impaginato e dato alle stampe. Il libro sarebbe uscito agli inizi del nuovo anno. Pensò solo a queste due cose: a lei e al suo libro, a quando l’avrebbe rivista e a finire la sua raccolta di poesie e racconti.

 

(fine prima parte, segue)








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