Ci sono davvero pochi artisti in Italia con la voglia di cambiare le carte in tavola, buttarsi in nuove sfide, spiazzare il pubblico. Uno di questi è certamente Davide Van De Sfroos che con il passare degli anni sembra prenderci sempre più gusto. Immediatamente dopo la sbandata – onestamente un po’ pretenziosa – del disco (e concerti) con una orchestra sinfonica, eccolo buttarsi a capofitto nel folk più genuino e diretto, ancor più di quanto fatto in passato. Non solo: per farsi accompagnare nel nuovo giro di concerti invece di continuare a suonare con gli ottimi musicisti che lo hanno accompagnato da anni, o scegliere professionisti scafati come ce ne sono tanti in Italia, porta con sé sul palco una band di ragazzini che potrebbero quasi essere suoi figli, gli Shiver.
Se il giochino sulla carta rischiava di apparire imprudente, dal vivo dimostra invece l’originalità e la freschezza dell’idea e anche la voglia di dare spazio a chi non ne ha ancora uno. Seppur non straordinari tecnicamente (spiccano per doti il violinista e il bassista; gli altri un po’ in ombra, mandolino, banjo, tastiere e chitarra acustica) portano una energia e una voglia di divertimento rari, spingendo anche il protagonista a una botta di gioventù che lo rende particolarmente ispirato. Con questa band che è una sorta di Mumford and Sons delle montagne, le canzoni di Van De Sfroos ritrovano energia in una carica di folk hardcore che va a nozze con sentimenti punk e irish, a volte spunta il bluegrass americano, altre volte il sentimento popolare di casa nostra. Straordinario poi l’impatto vocale, che dà la marcia in più, con i finali armonici cesellati con grande cura.
Per il concerto all’Alcatraz di Milano del “Folk Cooperatour” viene invitato una leggenda del folk come Luigi Grechi De Gregori, fratello di Francesco, l’uomo che per primo già negli anni 60 portò in Italia la ballata popolare americana, insegnando ai cantautori l’innesto di tradizione d’autore nord americana con quella di casa nostra. Una sorta di padrino che funge da benedizione per chi come Van De Sfroos ama questa strada di contaminazione popolare. Apre con quattro brani in completa solitudine, con il suo tocco ineguagliabile di chitarra acustica, tra cui la classica Il bandito e il campione portata al successo dal fratello, che sarà poi ripresa nei bis con Van De Sfroos e tutta la banda.
Poi tocca a lui ed è subito festa grande. Si susseguono a ritmo incalzante riletture del suo vasto repertorio, cominciando con Nona Lucia, e poi Pulenta e galena fregia, Ninna nanna, le più recenti Goga e magoga e La macchina del ziu Toni, Yanez, per tornare a classici come Guglielmo Tell e la sempre straordinaria Caino e Abele.
Spiccano ovviamente i brani tratti dal suo disco migliore di sempre, “Pica!”, tra cui la title track, Il costruttore di motoscafi, La ballata del Cimino e una meravigliosa e intensissima New Orleans. Van De Sfroos tocca il vertice della sua capacità espressiva, ma in realtà per tutta la serata ha cantato benissimo, cambiando anche leggermente le armonie dei pezzi, regalando tinteggiature folk che le hanno rese ancor più convincenti. Spazio anche agli Shiver che hanno eseguito la bella Cavallo pazzo. Il finale è ovviamente con la Curiera, con tutto il caldissimo pubblico a pogare neanche sul palco ci fossero stati i Sex Pistols.
Bentornato Davide Van De Sfroos, la sua strada è ancora lunga e a questo punto potremmo aspettarci da lui anche un disco di elettronica dance, tanto non riesce a stare con le mani in mano. Meglio così.