TEDESCHI TRUCKS BAND/ Sul palco la stagione gloriosa del Southern Soul, da Joe Cocker a George Harrison

- Lorenzo Randazzo

Un concerto incendiario, dodici musicisti sul palco, chitarre sudatissime, cover di lusso di una stagione irripetibile: la Tedeschi Trucks Band è stato l'evento dell'anno. LORENZO RANDAZZO

Tedeschi-Trucks-Band_R720 Foto dal sito ufficiale della Tedeschi Trucks Band, copyright TTB

A Southern Man knows. Il popolo del Rock sudista italiano, guidato dal Promoter/Scout indiano Claudio Trotta (Barley Arts), ha seguito la traccia ancora fresca e nell’arco di una settimana è migrato in massa dalla nuova riserva di Milano Est, il capanno del Fabrique dove ha potuto assistere alla solida e roboante performance dei Blackberry Smoke, per arrivare fino all’Alcatraz, avamposto Nord dove invece è andata in scena la festa Soul Rock della Tedeschi Trucks Band. 

Il Southern Rock, così definito perché sostanzialmente accumunato dalla provenienza geografica, in realtà è caratterizzato da una molteplicità e da una contaminazione di stili e di generi ben diversi tra di loro. La TTB per esempio rispetto ai Blackberry Smoke è meno psichedelica e nel complesso meno rock & blues ma nelcontempoèpiù jazz, funk, gospel… e soprattutto è una vera e propria Jam band. Non solo: già dal tipo di formazione (fiati, coristi, due batterie) ma anche dall’ampia lista di cover scelte, che cambiano di serata in serata, si presentano sul palco come un revival di quella stagione gloriosa che fu il southern soul di Delaney and Bonnie, Joe Cocker-Mad Dogs and Englishmen, il George Harrison altrettanto southern di All Things Must Pass, l’Eric Clapton di Derek and the Domonis.

Per gli appassionati del genere la strada ormai è segnata e il viaggio alla scoperta delle varie sfaccettature del rock sudista proseguirà nell’hinterland milanese il 3 maggio al Legend Club con la Marcus King Band e il 15 giugno al Live Club di Trezzo con i Gov’t Mule.

È importante sottolineare questi appuntamenti perché è proprio la dimensione dal vivo il contesto giusto per cogliere al meglio la bravura e la caratura di band come la Tedeschi Trucks Band che si è potuta toccare con mano anche la sera dell’Alcatraz. 

Susan Tedeschi e Derek Trucks alcuni anni fa hanno deciso di unire le loro vite in matrimonio e di condividere le sorti musicali. “Du gust is megl che uan” evidentemente non vale per i coniugi Trucks che invece delle loro rispettive band, Derek Trucks Band e Susan Tedeschi Band, ne hanno fatta una sola. Per quasi vent’anni di carriera artistica i due hanno viaggiato da soli per strade parallele, poi le loro vite si sono sfiorate e poi ancora congiunte da un punto di vista sentimentale prima e artistico poi.  

Come si sono conosciuti? Ovviamente on the road, nel 1999 Susan apriva i concerti di Derek che dall’età di vent’anni ha iniziato a suonare con la Allman Brothers Band. C’è voluto poi del tempo perché entrambe le carriere soliste erano bene avviate e perché nei due progetti musicali erano coinvolte diverse persone ma questa decisione di sinergia è stata obbligata per coltivare e preservare il loro rapporto. 

Sulla numerosità dei componenti della band non sono però riusciti a fare molta economia di scala visto che oggi i TTB sono una dozzina di cui due batterie e sei tra fiati e cori…. tutti quanti hanno affollato il main stage dell’Alcatraz tanto da farlo sembrare addirittura piccolo. Sul palco l’intesa tra Derek e Susan funziona a meraviglia: Susan si prende il centro della scena e la voce, non solo per il canto ma anche per i pochi inframezzi con il pubblico; Derek è invece uno di poche parole (per la verità nessuna) ma lascia parlare i suoi assoli di chitarra. Per il resto del tempo rimane timidamente defilato e talvolta si mette a disposizione e lascia spazio alla chitarra solista della consorte. 

Come detto la TTB trova una connotazione naturale sul palco ovvero la band ha senso di esistere soprattutto grazie alle esibizioni dal vivo: è una macchina complessa e vederli fraseggiare, divertirsi e scambiarsi i ruoli sul palco è uno spettacolo puro. Le stesse emozioni sono difficilmente riscontrabili su disco: canzoni come Made up Mind o Bound for Glory che su cd risultano piatte dal vivo invece assumono un valore del tutto nuovo. Certo gli album in studio sono importanti per fornire della materia prima nuova ma nel loro caso non sarebbero nemmeno indispensabili. Anzi non sarebbe un azzardo pensare ad una esibizione di sole cover. Pertanto ad integrare la setlist degli inediti anche durante la serata milanese non sono mancate numerose rivisitazioni di brani altrui, il vero piatto forte della serata.  

Pezzi come Anyday dei Derek and the Dominos, The Letter dei The Box Tops (nella versione di Joe Cocker), Isn’t It a Pity di George Harrison sono talmente bene personalizzati e amalgamati con il resto del repertorio da sembrare brani loro. Nella serata in cui ci si aspetta un omaggio a Chuck Berry appena scomparso (un Warren Haynes ne avrebbe dedicato un set intero), la TTB ha voluto ricordare invece B.B. King con How Blue Can You Get venuto a mancare quasi due anni fa. 

Un insolito orario d’inizio all’anglosassone (20.30) ha fatto presagire una lunga maratona musicale (uno slot da riproporre anche per altri show per evitare un Lunedì in salita), invece per quanto piacevole dopo poco più di due ore la serata si conclude con Right on Time, uno swing alla Buscaglione tratto dall’ultimo Let me get by e con una versione di Had to cry today dei Blind Faith da togliere il fiato. Poi tutti a casa, anzi tutti in coda per l’annunciato firma copie del nuovo live album “Live from the Fox Oakland”. Per la cronaca purtroppo una volta concluso il concerto le copie del CD in vendita al banchetto del merchandising erano già belle che finite. Quindi CD da autografare solo in mano a pochi… uno spiacevole imprevisto o dopo il Secondary Ticketing si è trattato del primo caso di Secondary CDing?!? Aspettiamo le indagini delle Iene per saperne di più. 





© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori

Ultime notizie

Ultime notizie