Caro Sussidiario
Confesso che mi capita di entrare da te e di leggerti innanzitutto per una semplice ragione che è quella di non finire in siti d’informazione dove so già più o meno quello in cui mi imbatterò e dove al di là della notizia che cerco tutto quello in cui mi imbatto è prevedibile, scontato e parecchio conformista a prescindere da colori, parti politiche e condivisione eventuale d’opinione.
Ora, nei prossimi giorni timbrerò 30 di una carriera artistica fatta da mille concerti e una quindicina di dischi. Alcuni di questi, come si dice, hanno pure scalato classifiche di vendita arrivando a tanta gente come invece altri sono entrati nelle case di pochi. Tuttavia, ti assicuro che questo conta poco per me e non è certo la ragione per cui ti scrivo.
Ah, aggiungo solo che il 24 novembre chiuderò il mio ultimo tour nella splendida cornice del Teatro dell’Arte di Milano e probabile che, fortunatamente come altri, quando scorreranno queste righe sarà sold out.
Ma, come dicevo, questo ora conta poco. Detto in due generiche parole, diciamo che sono un figlio di certo rock d’autore che ha sempre cercato nella sua produzione equilibrio tra forza d’impatto sonoro e ricerca poetica che sono probabilmente i timbri migliori di certa musica, che per capirci chiameremo popolare, che è stata a mio modo di vedere uno dei regali
migliori dati al nostro tempo almeno negli ultimi cinquant’anni. Infine, per quel che mi riguarda, diciamo che la mia esistenza e la mia carriera sono contraddistinte da quel che chiameresti libertà senza compromessi con tutto quel che ne viene a ruota, prezzo da pagare compreso.
Perché ti mando queste righe? Chissà, forse per dirti, come tanto si dice in giro, che la musica è finita? O per ricordarti che viceversa certa musica traduceva pure un particolare modo di stare al mondo? Sappiamo bene che questo non è più da tanto tempo. Magari dovrei parlarti in negativo. Dirti che il suono fesso che viviamo traduce la mediocrità che serve ad identificare e a tranquillizzare la gente che ascolta, dirti delle filastrocche adolescenziali dei rapper più o meno presunti che si scagliano sui mali del mondo volendo solo che quello stesso mondo gli dia tanti likes e un po’ di successo.
Oppure sparare sul nulla televisivo che serve alla vanità e alle tasche di qualcuno pure costruito su dati d’ascolto facili o presunti. Infine, o magari prima di tutto, arrivare al web che per il 90% è anch’esso il niente amplificato. Invece, questa è vera la ragione per cui ti scrivo, vorrei dirti che la musica non è finita. Immagina. Immagina migliaia di giovani che si scassano le mani per ore su uno strumento per tirarci fuori delle note accettabili magari per entrare in un’orchestra di musica classica di provincia. Immagina quelli che chiamano cantautori cambiare per la centesima volta un verso di quel che hanno scritto per trovare una frase che possa aver senso incidere da qualche parte. Immagina bande di rock, di blues, di quello che vuoi, cercare ancora il proprio tempo migliore dentro a una sala dove si prova e si riprova ancora. Per fissare un frammento della propria vita, non certo per mettere in piedi parodie chiamate cover band di qualche successo altrui e senza per forza di cose inseguire il proprio in un mondo che ti rimbalza. Immagina e considera tanti talenti e tante vite.
Musicisti o musicanti, poeti o solo sognatori, spesso disadattati in cerca di qualche salvezza. Dentro a questo nostro strano paese senza più aggettivi. E ti dirò che davvero ogni volta che suono mi verrebbe voglia di scendere dal palco dove mi trovo per andarli ad abbracciare ad uno ad uno.
No, la musica non è ancora finita.
Questo è quel che tenevo a dirti. A presto. E grazie per l’ospitalità.
(Massimo Priviero)