Dopo aver dato ottima prova di sé all'ultimo festival di Sanremo, l'ex bassista dei Pooh Red Canzian pubblica il suo terzo album solista. La recensione di ALESSANDRO BERNI
La spazialità ariosa del disco decolla immediatamente su Ognuno ha il suo racconto, arrangiamento da manuale per dinamiche e gestione di contributi musicali e corali, e dulcis in fundo per il bel testo dell’ottimo Miki Porru, che centra alla perfezione il ritratto di una vita viva, forte di un’energia intatta e di un orgoglio fecondo che evita le strettoie della superbia.
Il nuovo album di Red Canzian si sintetizza idealmente nei vitali quattro minuti della canzone sanremese, piena di vigore rock e positività contagiosa. E si riassume nel suo unire la semplicità essenziale del brano che apre l’album, alla felice complessità di quello che lo chiude – Cantico – attraverso la frase chiave “Testimone del Tempo” presente in entrambe le canzoni oltre a fornire il titolo dell’album. Il resto del lavoro ruota intorno a questo forte espediente prendendo vie traverse, lontane, testimoniando letteralmente l’avventura dell’esistenza, la propria e quella altrui attraverso incontri, confessioni, timori, cadute e risalite.
Cosa abbiamo fatto mai, ne è un bell’esempio. Piglio delicato tra respiro mediterraneo e tocco fiabesco che riunisce, come spesso accade nella migliore canzone d’autore, echi francesi e stilemi di William Byrd, per poi amalgamarli ulteriormente con fantasmi di Tenco e Bindi nella grazia malinconica e speranzosa di La notte è un alba.
Pop e melodia italica d’autore, a volte lambiti da lievi venature rock come in Reviens moi, Da sempre e L’impossibile , in altri momenti benedetti dalla fierezza larga ed immediata di ballate dal sapore morandiano come in Meravigliami ancora. Una vena fresca e definita che mantiene una incisiva linearità d’ascolto in Per cercare di capir le donne, Presto, tardi, forse, mai e Eterni per un attimo con il bell’intervento vocale e il sitar di Aldo Tagliapietra.
E’ il disco in cui Canzian – archiviata la lunga esperienza dei grandi numeri con i Pooh – centra l’obiettivo di condensare in meno di un’ora l’ABC della canzone italiana e delle migliori sortite da pop-rock ensemble, con una pertinenza e precisione di intenti portate a compimento dopo l’apprezzabile tentativo de “L’Istinto e Le Stelle”. C’è il bel contorno, e a tratti l’impronta marcata, di un manipolo di musicisti di livello ragguardevole, dalla chitarra elettrica di Alberto Milani, a quella acustica di Davide Tagliapietra, gli arrangiamenti di Will Medini, le tastiere di Daniel Bestonzo e su tutti la pregevole impalcatura ritmica di Phil Mer a supportare basso e voce del protagonista.
E poi nella carezzevole melodia di Quello che sai di me quasi un sussulto, che rimanda al soft AOR britannico fine anni ’90 con tanto di inserto di brass e flauti (strizzando l’occhio a The Corrs di No Good for Me e Cranberries di Loud and Clear). E c’è soprattutto quel senso di dolcezza irrequieta della voce di Chiara Canzian che stende il suo sottile velo in fase di controcanto e di interventi corali in vari momenti di altri brani, quasi come un avvertimento, un indizio che anticipa il grande finale, annunciato dal tenore acustico-orchestrale di Tutto si illumina che riprende il tono confessorio delle ballate d’autore poste all’inizio del disco. La citata Cantico arriva come un’onda che si frantuma e ricompone tra flussi interiori e ritorni alla strada maestra. Gli incastri piano-xilofono-orchestra, la voce trasognata di Chiara Canzian ad annunciare il primo cambio di scenario, il canto all’unisono nel bridge, la coabitazione creativa con Renato Zero (oltre che con Phil Mer e Vincenzo Incenzo) in una lauda che unisce prog e musical disneyano.
