NATHALIE/ “Into the Flow”: oltre il potere di chi gestisce il pop-rock italiano

- Alessandro Berni

A cinque anni di distanza dal suo ultimo disco, torna Nathalie e ancora una volta dimostra di essere slegata dalle logiche commerciali di chi gestisce la musica. ALESSANDRO BERNI

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Riporta a momenti di vita a lungo custoditi nell’anima, ti sorprendi a seguirlo come se ti aspettasse, suona talmente familiare da fissare nel tempo il moto primario del cuore e della tua affezione, conquista come una dichiarazione sottotraccia, quella che arriva dopo una lunga e snervante routine di mezzi sguardi e frasi rimaste inespresse.

Into the Flow” Il nuovo album della cantautrice Nathalie  – il suo terzo – arriva a quasi cinque anni dal precedente e – a dispetto di un futuro prossimo che si annuncia lontano dal giro che conta e da manovre compiacenti del potere costituito del pop-rock italico – vede per la prima volta realizzarsi ciò che la musicista romano-belga avrebbe voluto sempre fare.  Un disco firmato Nathalie che assecondasse le sue aspirazioni prime, con la sua personalissima e inafferrabile assimilazione di eroi ed eroine che ne hanno popolato l’iter musicale.   Inafferrabile e inattaccabile, come nel DNA di ogni autentica inquietudine artistica che si rispetti, una cifra che contempla un modo nuovo e affascinante di raccontare storie non importa se vecchie, antiche o recenti, quanto piuttosto di renderle vive per rendere interessante il presente.

Ciò risalta in maniera evidente sin dai primi due brani del disco, tra i migliori del lotto, in primis In a World of Questions che nel suo possente e ossessivo andamento pop-rock, si agita senza soluzione di continuità tra la Bush, PJ Harvey e i corposi dettati sintetici del Banks di quei Genesis che nei primissimi ‘80 facevano scorrere prog e new wave in virtuosa rotta di collisione .  Il tutto condensato nel giro di tre minuti e mezzo dove viene riassunto e ricreato tutto il potere mistico e il fascino di un suono che interroga e stimola tuttora la relazione artista/ascoltatore.  E che segna la direzione di un disco che condensa spunti, rivisitazioni e fiammate nel giro di non più di trentanove minuti spalmati su dieci brani. 

La complicità di collaboratori e ospiti intelligenti e ispirati come Francesco Zampaglione, Luca Amendola e Gnu Quartet fanno il resto e anche qualcosa in più.  Il secondo pezzo completa l’accoppiata vincente d’apertura con l’allegria contagiosa e quasi schizo di una Smile-In-A-Box che anch’essa si avvale di un talento non comune nello stare al passo delle grandi produzioni art-pop anglo e derivate.

Non manca una sezione italiana, tre canzoni in tutto idealmente divise in due filoni.  Uno rappresentato da Tra le labbra e Siamo specchi che mostrano l’abilità della nostra nel giostrare i canoni tipici della melodia nostrana corredata di piccole striature rock.  L’altro da una In un vortice che va a saldarsi al filone prevalente – quello più immaginifico e internazionale dei citati primi due brani – che trova ulteriori sviluppi in incursioni dal sapore gothic-rock, quelle da ballatona più basica di Dancer In The Rain e quelle disseminate di acustico e medioevalismi della conclusiva Who We Really Are.

A coronare il tutto la vena stranita di I Feel a Stranger, il decadentismo wave di The Ocean Tide e la vena old school retrò della notevole In a Trash Can.  Con il citato brano conclusivo la cantautrice sembra interrogarsi nel presente sulla propria intima natura, quella emersa dalla rapida ascesa nel meccanismo illusorio dei manovratori del business alla collocazione nel giro degli ex-talent caduti in disgrazia, una domanda sempre aperta e sempre valida.  Con questo disco Nathalie ci dimostra quello che è disposta a fare e rischiare.      





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