“L’Italia non è pronta per uno come me” aveva detto Achille Lauro, il rapper trasformatosi a Sanremo con dubbi risultati musicali in rocker, all’indomani del festival, dopo le tante critiche ricevute. Quelle per un presunto messaggio a favore della droga nascosto nel suo pezzo Rolls Royce, quello per il testo della canzone che faceva il verso al Vasco Rossi ai tempi della sua vita spericolata, cioè vivere una vita da balordo tra eccessi vari. Adesso su Instagram cerca di rifarsi un’immagine, raccontando i retroscena di una infanzia definita difficile, in una famiglia povera, senza neanche i soldi per uscire a cena con gli amici e con una madre che si impegnava i gioielli di famiglia per tirare avanti. Gioielli, dice, che adesso ha riscattato per farle riavere i ricordi di famiglia. Siccome la sua carriera non è cominciata a Sanremo, viene da chiedersi perché non li abbia riscattati prima, oppure i soldi spesi per i vestiti firmati di cui fa gran sfoggio. Nessuno certamente mette in dubbio parole come «Sono figlio di gente onesta, il secondo di due fratelli. Mia madre é sempre stata una persona altruista, generosa, longanime. Abbiamo vissuto con altri bambini perché mia mamma prendeva in casa figli di famiglie in difficoltà, anche quando possibilità non ne aveva. Siamo figli di chi ha dedicato tutta la propria vita al lavoro, a cui tuttavia per tanti anni nessuno ha mai riconosciuto nulla».
I GIOIELLI DELLA MAMMA
Ma quasi subito ritira fuori l’immagine di un ambizioso che vuole essere riconosciuto come qualcuno al di sopra degli altri: «Nessuno conosce la mia vera storia. Non voglio essere un buon esempio, io sono un buon esempio». Come hanno dimostrato diversi video diffusi dal programma televisivo Striscia la notizia di suoi concerti dove prende a calci pugni alcuni spettatori e minaccia di ucciderli, ci si domanda se è questo il suo buon esempio. L’immagine di Achille Lauro che viene fuori da queste sue parole, ricorda piuttosto il percorso di tanti personaggi nati nella povertà, ad esempio Maradona, e che grazie al successo hanno poi fatto una ben misera fine. «Ho ricordi di momenti in cui non si sapeva che fine avremmo fatto, se saremmo riusciti a coprire i debiti. Ricordo quando fuori fingevo di aver già cenato perché mi vergognavo a uscire e a non avere soldi per pagare il conto» scrive ancora concludendo con «Io sono come i tanti ragazzi della mia generazione, siamo cresciuti da soli crescendoci l’un l’altro». Che suona poi come l’ammissione più sincera: quando si cresce da soli, senza figure educative, la vita corre il rischio di uscire dai binari della normalità.