ELVIS PRESLEY/ Le radici Gospel del Re del Rock’n’roll
Appena uscito uno straordinario cofanetto di quattro cd, “I Believe” (The Gospel Masters), dedicato a tutte le incisioni gospel di Elvis Presley. Come ci racconta PAOLO VITES, l’occasione per avvicinarsi a un aspetto poco conosciuto, ma forse più affascinante e misterioso del Re del Rock’n’roll

Che il più significativo e influente protagonista della storia della musica rock – anzi, quello che questa musica l’ha tenuta a battesimo, di fatto inventandola – abbia ricevuto in vita solo tre premi Grammy è abbastanza curioso. Che di queste tre onorificenze, le più importanti dell’industria musicale, nessuna sia andata per le sue incisioni rock (lui, che era The King of Rock’n’roll), ma per quelle a contenuto gospel, è ancor più curioso. Ma forse dovrebbe spiegare una o due cose su Elvis che la maggior parte dei fruitori di musica ignora. E cioè che la musica gospel, di fatto la musica sacra, quei canti usati per le liturgie delle chiese americane, è parte integrante di quella miscela di vari stili che è diventata, appunto grazie a Elvis, il rock’n’roll. Lo è dal punto di vista stilistico (che la musica rock si compone, in parti più o meno uguali, di blues, di musica hillbilly – quella dei contadini bianchi di derivazione folk – e appunto gospel). Ma lo è anche dal punto di vista della sua espressione interiore.
Tutti i grandi esponenti della prima ondata rock, quella degli anni Cinquanta, e cioè Elvis, Jerry Lee Lewis, Little Richard tra gli altri, erano cresciuti con un solidissimo background religioso e si erano innamorati sin da bambini della potenza e dello straordinario impatto emozionale del canto gospel.
Innumerevoli testimoni hanno sempre raccontato di come Elvis, nei suoi momenti liberi, a casa o prima di un concerto, si dedicasse esclusivamente a cantare musica gospel. E la dicotomia tra la musica rock, intesa come perdizione, e il gospel, inteso come salvezza, aveva spesso perseguitato questi figli di un’America semplice e ancorata ai valori, un’America oggi quasi del tutto scomparsa.
Celebre è la discussione che Jerry Lee Lewis ebbe con il suo produttore, il leggendario Sam Phillips, quando si apprestava a registrare quello che sarebbe diventato il suo hit più importante, il brano Great Balls Of Fire. Resosi conto che il titolo faceva esplicito riferimento al fuoco dello Spirito Santo durante la Pentecoste, si rifiutò inizialmente di incidere un brano che considerava blasfemo. Altro che sesso droga e appunto rock’n’roll.
I Believe (The Gospel Masters), titolo quanto mai indicativo, è uno straordinario cofanetto di quattro cd uscito in queste settimane, dedicato a tutte le incisioni gospel di Elvis Presley. È l’occasione per avvicinarsi a un aspetto poco conosciuto in Italia dell’artista, ma altresì quello più affascinante, misterioso e meno scontato.
Elvis, lo sanno tutti, insieme a Frank Sinatra, è stata la più straordinaria voce della musica popolare del ‘900. Qualcuno ha definito il suo modo di cantare “ultraterreno”, e probabilmente aveva ragione.
L’approccio di Elvis al canto gospel non è ovviamente simile a quello irruente, scalmanato per così dire, dei neri, anche se a tratti questo elemento emerge. È filtrato attraverso l’eleganza straordinaria del suo approccio vocale, che era stato influenzato da bambino anche dai grandi cantanti lirici, e dal suo gusto straordinariamente pop. Ma soprattutto da una autentica appartenenza religiosa al contenuto di quello che cantava: come dice il titolo del cofanetto, Elvis “credeva”.
Da alcuni estratti del disco del 1957, “Elvis’ Christmas Album”, ecco allora sfilare per intero i quattro storici dischi gospel incisi nel corso dei decenni, “Peace In The Valley”, “His Hand In Mine”, “How Great Thou Art” e “He Touched Me”, più alcune registrazioni dal vivo e alcune session informali. Quello che se ne ricava alla fine, è l’accorgersi, paradossalmente, che Elvis era più libero e più spontaneo, sicuramente più divertito, in queste incisioni che nelle sue classiche registrazioni rock. Il che la dice lunga.
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