WYNTON MARSALIS/ Come il jazz può cambiarti la vita
Il trombettista Wynton Marsalis, primo jazzista della storia a vincere il Premio Pulitzer nella Categoria Musica è “tra le venticinque persone più influenti degli Stati Uniti” secondo il Time. Un musicista capace di unire talento e studio, ma anche di dividere la critica. La sua figura e il suo ultimo libro Come il jazz può cambiarti la vita (Feltrinelli) nel racconto di ANDREA MILANESI

Nel 1996 la rivista Time ha incluso Wynton Marsalis tra le venticinque persone più influenti degli Stati Uniti; l’anno successivo il trombettista si è aggiudicato – primo jazzista della storia – il Premio Pulitzer per la Categoria Musica (grazie alla composizione dell’oratorio Blood on the Fields, una ricostruzione della storia del popolo nero, dalla schiavitù alla conquista della libertà). Nel 2001 è stato nominato Ambasciatore di Pace dell’ONU, mentre lo scorso gennaio ha tenuto un concerto a Washington per l’insediamento del presidente Barack Obama.
Nel corso degli anni le sue quotazioni sono sensibilmente cresciute, al pari della sua fama, e oggi Marsalis è arrivato a essere ritenuto «uno dei 15 personaggi più importanti d’America»; di sicuro è uno dei musicisti più famosi del pianeta, uno di quelli che sono stati in grado di riportare il jazz all’attenzione del grande pubblico su scala mondiale. Un artista che, per naturale inclinazione, è fondamentalmente allergico a schemi o definizioni. Come jazzista, poi, è senza dubbio una figura atipica. Innanzitutto perché non è un semplice jazzista, o meglio, non è solo un jazzista; e poi perché va contro tutti i luoghi comuni che nei maggiori esponenti di questo genere musicale identificano personaggi emarginati e maledetti, divorati dall’estro, ma incapaci di leggere uno spartito.
Classe 1961, rampollo predestinato di una nobile famiglia di artisti, Wynton Marsalis rappresenta infatti uno dei rarissimi esempi di “musicista assoluto”: il solo ad aver vinto due Grammy Awards – nello stesso anno e per dischi differenti – nella categoria Jazz e Classica; uno dei pochi che, a un talento innato e a una spiccata predisposizione verso l’improvvisazione, ha deciso di affiancare studi rigorosi e un curriculum accademico, e il cui nome si può indifferentemente trovare sui cartelloni di un fumoso locale di Manhattan o in un tempio sacro della musica classica come il Met. La sua è d’altronde una storia che parla da sempre di impegno e ricerca, di continui cambi di registro e (più o meno) relative conferme, ma anche di accese critiche per la sua musica «fredda e perfetta» o per il suo spiccato istinto commerciale.
Ogni sua mossa, in qualunque direzione si muova, è inevitabilmente destinata a lasciare un segno nel panorama internazionale della musica jazz, e non solo; occhi dunque ancora una volta puntati su di lui perché, nel giro di poche settimane, mentre nei negozi di dischi di tutto il mondo è approdato il nuovo album He and She, sugli scaffali delle librerie italiane ha fatto capolino Come il jazz può cambiarti la vita (Feltrinelli), una sorta di saggio di carattere storico, sociologico e antropologico concepito con l’intento di offrire un valido strumento per avvicinarsi all’arte del jazz e per trarne insegnamenti esistenziali, come emerge chiaramente dalla stessa dichiarazione d’intenti dell’autore: «Spero di trasmettere il messaggio positivo della più grande musica d’America».
Al centro c’è ovviamente lui, il trombettista di New Orleans, nato e cresciuto nella terra che ha visto nascere il jazz, tra le contraddizioni delle inarrestabili spinte verso libertà e uguaglianza da una parte e gli ultimi sussulti della discriminazione razziale dall’altra. A fianco di riflessioni di carattere estetico e filosofico, metafore ardite e suggestive, ripercorrendo le sue memorie e i punti fermi della sua formazione di uomo e di artista Marsalis si sofferma innanzitutto sulla profondità d’ispirazione del blues, sulla centralità dello swing e sulle lezioni imparate dai primi maestri, di musica e di vita («Voi siete creativi, chiunque siate; riconoscete la vostra creatività e abbiate rispetto per la creatività e gli spazi creativi degli altri»), ma anche sui fondamenti ideali e i traguardi da raggiungere («Le imperfezioni possono aggiungere fragranza e personalità alla musica; in un’epoca in cui il massimo per i giovani è tendere alla perfezione e alla finezza degli spot televisivi, l’idea di “lavorare con quello cha hai” rappresenta un’utile alternativa»).
Il capitolo più coinvolgente del libro è sicuramente quello dedicato ai grandi maestri del jazz, i musicisti nei confronti dei quali l’autore si sente più che ad altri debitore; da Louis Armstrong («Il suo suono ha il potere di guarire; ha la saggezza e il perdono. Ha la voce che vuoi sentire dalle persone cui ti rivolgi quando ti è capitato qualcosa di veramente brutto…») a Duke Ellington («Rivolgeva la sua musica alla ricca vita interiore di uomini e donne; un tocco della sua mano sul pianoforte e la luna entrava in una stanza…»), da Billie Holiday («Evocava sentimenti drammaticamente oscuri affrontando la dolcezza dello swing; se metti del sale in una bevanda dolce la rendi più dolce, ma se aggiungi zucchero all’amaro diventa ancora più amaro: così era Billie…») a John Coltrane («È un predicatore, un esortatore; vuole convertirti con il suo sassofono. Qualcosa nel suo suono ci penetra con la compassione della bellezza più pura e sublime; è irresistibile, la sua sincerità fa venir da piangere…»), passando per i giudizi controversi su Miles Davis, ritenuto un geniale ricercatore poi caduto nella trappola «dell’adulazione e del mercantilismo» («La personificazione del vecchio detto: “Il meglio, quando è corrotto, diventa il peggio”…»).
E tra una considerazione e l’altra, nella parte conclusiva la lezione dell’artista arriva – giustamente – ad affrontare il delicato tema dell’educazione e delle prospettive che si vanno ad aprire per le nuove generazioni, culminando con un’amara constatazione: «I ragazzi sperano che l’insegnamento dia loro la possibilità non di imparare dai migliori, ma di diventare uno di loro. Il fatto che nella musica esista della sostanza che valga la pena di apprendere non viene preso in considerazione…». Ma questo, professor Marsalis, dipende anche dalla proposta che viene offerta loro dagli adulti che si trovano davanti: dal punto di origine sopra cui poggiano le loro convinzioni e dalla direzione verso cui rivolgono il loro sguardo, e non solo dalle belle parole che usano, dai premi che vincono o dai dischi che vendono.
(Andrea Milanesi)
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