Ore 12.27, davanti al televisore (come, immagino, milioni di italiani) attendo che termini la sigla del Concerto di Capodanno trasmesso da Rai 1 in collegamento con il Teatro “La Fenice” di Venezia. Pochi istanti e il direttore, Sir John Eliot Gardiner, con passo elastico, si porta sul podio e attacca l’Ouverture del “Signor Bruschino” di Rossini. Esecuzione piena di brio, pulita e divertita ben condotta dal Maestro inglese.
Segue il possente “Si ridesti il Leon di Castiglia” (da Ernani di Verdi), coro tra i più celebri ed entusiasmanti della produzione verdiana. Nessun cedimento alla facile retorica, perfetta resa di ogni dettaglio della partitura. Davvero il nostro grande compositore non può che giovarsi di interpretazioni così partecipate e lucide. Ecco quindi “Una furtiva lagrima” da L’Elisir d’amore di Donizetti, tenore Francesco Meli.
L’introduzione, tersa ma non fredda, precede il canto di Meli, partecipe e nel contempo misurato ed elegante, ottimo esempio di come l’espressione non sia da confondere con l’enfasi. Orchestra condotta con mano sicura e sempre in perfetto equilibrio con il canto. Ancora un risultato eccellente suggellato da copiosi applausi del pubblico.
Anna Caterina Antonacci ci propone una Habanera (da Carmen Bizet) di grande spessore, carica di quella tragedia che va ben oltre la semplice (e non di rado triviale) sensualità cui siamo abituati: l’amore è qui (come la Volontà in Schopenauer) una potenza superumana cui nessuno può opporsi. Ancora da Carmen segue la trascinante “Chanson Bohémihenne” affidata alla impeccabile conduzione di Gardiner e alla grandissima prova della Antonacci che si mostra qui capace di passaggi subitanei tra situazioni emotive differenti.
Pur non all’altezza del dionisiaco Kleiber, il direttore inglese articola il lunghissimo accelerando con mano sapiente, portando la temperatura espressiva del finale al calor bianco. Meli interpreta quindi “De’ miei bollenti spiriti” (da La traviata di Verdi) sempre con grande eleganza anche se non rispettando appieno le indicazioni dinamiche del compositore (che arriva a prescrivere addirittura quadrupli pianissimo).
Un piccolo gioiello strumentale (l’“Intermezzo” da I quattro Rusteghi di Wolf-Ferrari) mostra l’abilità del corpo di ballo e la smagliante forma dell’orchestra che raramente abbiamo sentito così affiatata.
Una nota di plauso merita anche l’attenta regia televisiva che valorizza gli splendidi ambienti veneziani e segue con discrezione e puntualità l’esecuzione musicale. La bacchetta di Gardiner e la voce di Meli danno quindi vita a una coinvolgente Aria del Duca di Mantova (“La donna è mobile” da Rigoletto di Verdi) che, nonostante una piccola sbavatura sull’acuto finale, conferma quanto visto in precedenza.
Si passa poi all’impervia “Canzone del velo” da Don Carlos di Verdi. A fronte della indubitabile grandezza interpretativa della Antonacci abbiamo notato piccole imperfezioni ritmiche che comunque non hanno intaccato la prova magistrale della cantante.
Pezzo d’obbligo del Concerto di capodanno veneziano è il celebre “Va’ pensiero sull’ali dorate” (dal Nabucco di Verdi). L’esecuzione ci è parsa forse un po’ troppo compassata ed evidente appariva l’intento di “nobilitare” un brano che di tale nobiltà non ha certamente bisogno, essendo di fatto un inno popolare che (almeno un tempo) faceva parte del DNA degli italiani.
Conclude il concerto il celebre “brindisi” Verdiano “Libiamo nei lieti calici” (da La traviata) bissato a furor di popolo. Esecuzione pulita anche se un po’ generica: è ovvio l’intento di concludere la performance su toni leggeri e di grande coinvolgimento.
In sintesi: concerto bello e intenso, con un trio di protagonisti decisamente in grande spolvero (devo confessare che Gardiner è stato per me una gradevolissima sorpresa), un’orchestra attenta, precisa e partecipe . Ma allora perché non trasmettere anche la bellissima Sinfonia n. 7 di Dvorak in programma nella prima parte del concerto?