NEGOZIAZIONI IN FAMIGLIA/ Il “contesto” che aiuta a capire le richieste dei figli

- Luca Brambilla

Saper negoziare è una skill che risulta fondamentale in tutti gli aspetti della propria vita professionale. Ma che può essere utile anche in famiglia

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Saper negoziare è una skill che risulta fondamentale in tutti gli aspetti della propria vita professionale. Si tratta di una competenza “non negoziabile” che dovrebbero sviluppare non solo i grandi Amministratori delegati, ma tutte le persone a prescindere dal proprio ruolo gerarchico. Essa consente infatti di comprendere al meglio gli interessi dei propri interlocutori e di soddisfarli, abilità essenziale per poter avere successo.

Spesso durante le docenze che tengo in università o nelle Business School mi viene domandato se le strategie e le tecniche che insegno possono essere usate anche in famiglia, e io confesso che sono sempre molto restio a parlare di relazioni familiari, o comunque strettamente intime, all’interno di Master dal taglio professionale. Sotto invito di amici e colleghi ho però deciso di scrivere qualche articolo sul tema “negoziazione in famiglia”. In particolare, l’argomento che vorrei trattare è quello più complesso e maggiormente richiesto dai conoscenti: la negoziazione con i bambini. Scriverò dunque un ciclo di tre articoli in cui condividerò aneddoti di vita reale e le relative tecniche e strategie utilizzate.

Il primo aneddoto che dà il via a questa serie di articoli è tratto da un fatto avvenuto recentemente. Fui invitato a pranzo in un bel ristorante di Roma da una coppia di amici e clienti che lavorano nella propria azienda familiare per dare loro alcuni consigli su come impostare un percorso di passaggio generazionale. Ci ritrovammo nel luogo dell’incontro io, mia moglie Francesca e Vittorio, il marito della coppia. Quest’ultimo, appena ci vide, mostrò un sorriso di sincero benvenuto dietro al quale non feci a meno di scorgere un celato sentimento di imbarazzo. Dunque, gli chiesi se ci fosse qualcosa che lo preoccupasse, e lui si confidò rispondendomi che sua moglie Giulia avrebbe leggermente ritardato, poiché quel pranzo organizzato all’ultimo minuto aveva rovinato i piani della loro figlia di otto anni Giuditta. Incuriosito dalla questione gli chiesi ulteriori spiegazioni, e lui mi raccontò che la figlia aveva chiesto alla madre di prepararle per quel giorno un piatto che lei amava particolarmente: la cotoletta con le patatine. Andando al ristorante, non avrebbe più avuto la possibilità di esaudire la sua richiesta.

Dopo circa 20 minuti di attesa Giulia ci raggiunse insieme alla figlia. La bambina mostrava in volto la classica espressione di chi ha appena pianto e si rivolse agli adulti dicendo: “Io non ci voglio pranzare con voi!“. A quel punto la madre, probabilmente sfinita dai capricci, reagì lanciando un avvertimento: “Se non vieni a pranzo con noi non ti preparerò più cotoletta e patatine per i prossimi sei mesi!“. Questa provocazione convinse Giuditta, anche se controvoglia, a entrare nel ristorante. Per sdrammatizzare Vittorio, tra il serio e l’ironico, mi disse: “Un giorno quando avrai figli scoprirai che è impossibile negoziare con i bambini“. Replicai subito spiegando che in fondo i bambini sono dei piccoli uomini, e che alcune leve decisionali sono dunque uguali indipendentemente dall’età.

Prima che ci assegnassero il tavolo decisi di provare a interagire con la piccola Giuditta. Mi abbassai alla sua altezza piegando le gambe e mi presentai, chiedendole a sua volta il suo nome. Le chiesi poi quale fosse la ragione della sua preoccupazione, abbinando la domanda a un paraverbale dolce e mostrando il miglior sorriso che potessi proporle. Lei mi rispose che era arrabbiata perché la mamma le aveva promesso che le avrebbe preparato il suo piatto preferito. La madre Giulia replicò, nel tentativo di consolarla, dicendole che quel ristorante proponeva una cotoletta con patatine molto più buona di quella che avrebbe potuto cucinarle lei. Tuttavia, dalla comunicazione non verbale della figlia capì che l’obiezione della madre non l’aveva colpita: notai, infatti, che stava scuotendo la testa, anche se in maniera quasi impercettibile.

Decisi quindi di intervenire e domandai alla piccola Giuditta: “Ti piace dire alla tua mamma cosa dovrà cucinare?” e lei rispose subito di sì con un tono deciso. Notando che portava sulle spalle uno zaino raffigurante una principessa Disney le chiesi: “Ti senti una principessa?“, e lei sorpresa mi rispose: “No, io voglio essere una regina, anzi un’imperatrice!“. A quel punto replicai: “Allora comportati come un’imperatrice. Visto che le imperatrici dicono agli altri cosa fare, oggi deciderai tu come dovremo sederci a tavola“. Questa proposta apparentemente assurda conferì alla bambina un nuovo brio. Una volta accomodati secondo le indicazioni di Giuditta, le domandai se conoscesse già il ristorante e, in seguito al suo assenso, le chiesi di suggerirmi alcuni piatti. Dopo avermi elencato una serie di pietanze, le risposi che mi sarei fidato dell’imperatrice, e che dunque avrei ordinato il suo stesso piatto.  

Dopo un po’ mi rivolsi nuovamente a lei spiegandole che sua mamma era stata costretta a rimandare il loro pranzo a casa per una ragione importante: avrebbe dovuto confrontarsi con me e suo papà per prendere una decisione delicata che avrebbe avuto degli effetti su tutte le famiglie che lavoravano per la loro azienda. Le chiesi se avesse piacere a partecipare a un pranzo di adulti in cui sarebbero state prese decisioni strategiche. Accettò subito con gioia la proposta e rimase in sacrosanto silenzio e attenta durante l’intero incontro, permettendo a me e ai suoi genitori di affrontare con serenità le questioni complesse di cui dovevamo parlare.

Proviamo ora ad analizzare con occhi da “tecnici della negazione” le strategie che ho utilizzato. All’inizio mi sono posto fisicamente sullo stesso livello della bambina abbassandomi alla sua altezza e ho affermato che ero molto lieto di conoscerla. In seguito, ho cercato di comprendere a fondo la natura del problema, anziché rimandarlo, sminuirlo o fare finta che non esistesse. Ho poi capito che i suoi capricci non derivavano tanto dall’impossibilità di mangiare il suo piatto preferito, ma dal fatto che le era stato tolto il “potere” di decidere cosa mangiare. Ho quindi messo in atto una tecnica chiamata “dettare il contesto”. In pratica ho creato una cornice all’interno della quale lei era l’imperatrice e, consentendole di scegliere dove gli adulti si sarebbero dovuti sedere, le ho simbolicamente ridato il potere che le era stato sottratto. Inoltre, le ho dato modo di esprimere le sue opinioni sulle varie proposte del ristorante e l’ho piacevolmente stupita quando persino io, che ai suoi occhi rappresentavo il nemico che aveva spinto i suoi genitori a rimandare il pranzo a casa, avevo deciso di fidarmi di lei prendendo addirittura il suo stesso piatto.

Solo dopo aver dettato il contesto e soddisfatto la sua parte emotiva le ho chiesto qualcosa in cambio, ovvero di rimanere in silenzio durante il pranzo per permettere agli adulti di concentrarsi. La richiesta non è stata percepita come una minaccia, ma anzi come un’opportunità di partecipare con i suoi genitori a delle decisioni importanti.

Questo da un lato ha consentito a Giulia e Vittorio di conseguire i loro obiettivi lavorativi, e dall’altro mi ha fatto fare amicizia con la piccola Giuditta, che alla fine del pranzo ha proposto di organizzare il prossimo a casa sua, così avrebbe potuto mostrarmi la sua corona da imperatrice.

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