FINANZA/ Lo scandalo sul debito italiano “nascosto” dalla Grecia

- Gianfranco D'Atri

Quanto avvenuto sulla Grecia, spiega GIANFRANCO D'ATRI, ci ha distratto da un problema che ci riguarda direttamente: i derivati sul debito pubblico italiano

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La pantomima greca probabilmente svolge anche il compito di distrarre l’attenzione dei cittadini europei da quello che più direttamente è di loro interesse. Come accade in ogni raggiro, la vittima viene distratta da un complice mentre il truffatore porta a termine la propria opera.

La preoccupazione per il debito dei greci ci distoglie dal pensare al nostro che ha ormai superato i 2200 miliardi. E dello scandalo della gestione del debito pubblico, e in particolare dell’uso dei derivati, non se ne parla, né la Magistratura pare aver individuato il bandolo della matassa. Dal punto di vista giuridico e giudiziario si tratta di un tema sicuramente complesso, ma dal punto di vista fattuale è banale.

In Italia abbiamo visto rubare, concutere, corrompere, sottrarre e abbiamo scoperto tangenti, mazzette, favori di ogni genere per importi anche di pochi euro (come i rimborsi spese per fiori e slip) nell’utilizzo di fondi in comuni, regioni, partiti e aziende pubbliche. L’entità delle somme gestite senza controlli e con norme poco trasparenti ha sempre suscitato appetiti smisurati che gli accertamenti giudiziari non riescono a punire. Però, nel caso del più imponente  flusso finanziario dello Stato – la gestione appunto del debito pubblico – nessun ombra sfiora o ha sfiorato gli attori delle operazioni, sia i funzionari pubblici del ministero dell’Economia e delle Finanze, sia i dirigenti delle maggiori banche internazionali. 

Al Ministro Padoan abbiamo sottolineato il torto di non voler rendere pubblica la documentazione di base. I suoi tecnici adducono la risibile difficoltà del trasferimento in formato digitale delle informazioni, cosicché la direttrice Cannata non ha saputo cosa rispondere sia alla commissione parlamentare che all’intervistatore della trasmissione Report. Ora sono proprio le banche, molte delle quali appartenenti all’elenco degli specialisti in titoli di stato presso il Tesoro che, in un intervento di Frisone su Il Sole 24 Ore dello scorso mese, suscitano dubbi. In effetti, all’estero hanno ricevuto pesanti sanzioni e hanno accettato enormi transazioni per evitare condanne penali, per aver manipolato tassi e quotazioni in vari mercati. Ovviamente, prima di ciò erano state avviate indagini e provati comportamenti irregolari, che al momento – anche grazie ai silenzi del nostro Ministro – non possiamo né dimostrare, né confutare.

Certo, molti dei soggetti con i quali tratta e ha trattato in maniera privilegiata lo Stato sono, a livello internazionale, noti e acclarati “manipolatori”. Frisone ha interpellato diversi esperti che suggeriscono la strada della rivisitazione dei contratti derivati che, alla luce di un attento scrutinio, sarebbero da considerare nulli o annullabili, con conseguenti effetti restitutori o risarcitori. 

A parte i diversi punti di vista sulle eventuali strategie legali, appare a tutti evidente che se le stesse banche che manipolavano l’Euribor (e non solo) stipulavano contratti aleatori – cioè scommesse – dipendenti dallo stesso tasso, le perdite – di quasi 60 miliardi – per lo Stato non possono imputarsi unicamente al cattivo andamento della nostra economia o all’infausto destino. Sulla base delle informazioni attualmente disponibili il meccanismo ha tratti di somiglianza con il calcioscommesse: facile vincere se si conosce/determina il risultato.

Gli Usa hanno imposto, complessivamente alle banche, sanzioni per circa 150 miliari dal 2009 e, alla sola JP Morgan, lo scorso anno per ben 13 miliardi. Il Tesoro italiano ha invece preferito aiutarla chiudendo uno swap e pagando sull’unghia oltre 3 miliardi!





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