Una settimana particolare per Israele. A raccontare il terribile lunedì vissuto dal popolo di Tel Aviv, sulle pagine del Jerusalem Post, è Sara Hurwitz, considerata la prima donna rabbino ortodossa: “Lunedì mattina abbiamo iniziato la nostra giornata a Maharat, la yeshivah ortodossa femminile, con il cuore spezzato. Mentre assorbivamo le notizie del devastante attacco di Hamas contro Israele, abbiamo deciso di cancellare la lezione e invece di riunirci come comunità con studenti, ex studenti e docenti per recitare Tehillim, o Salmi, e Tefillot, la preghiera. Con oltre 30 studenti, ex studenti e docenti Maharat che vivono in Israele, la nostra attenzione si è concentrata dopo gli orribili eventi del fine settimana”.
Così gli studenti di Israele hanno condiviso le proprie esperienze. Storie di coniugi chiamati in prima linea, di persone che dovevano lasciare le sinagoghe per indossare le uniformi, di madri che hanno visto i propri figli partire. E ancora gli studenti “hanno parlato di quanto velocemente siano dovuti raggiungere le loro stanze sicure dopo una sirena, di come gli scaffali dei supermercati siano vuoti e di come i loro figli siano a casa senza niente da fare”. Per Hurwitz c’è come la “consapevolezza che la vita come la conoscevamo sarebbe stata difficile manifestarsi di nuovo”.
Israele, Sarah Hurtwitz: “Il peso del trauma e della guerra sempre presente”
Il dramma di Israele con il passare delle ore si è amplificato: “Molti di noi sono riusciti a connettersi con la famiglia e gli amici, sono iniziati i sette giorni di shiva. Durante shiva, la vita è sconvolta, non siamo in grado di sederci comodamente e ascoltiamo ed elaboriamo le opinioni degli altri, storie, cercando di offrire conforto, attraverso le parole, gli abbracci e, ovviamente, attraverso il cibo” ha raccontato Sara Hurwitz nel suo articolo sul Jerusalem Post. Come si supera, ci si chiede, una cosa del genere? “Ci saranno anche molti momenti che saranno strazianti, in cui attraversare i giorni ti sembrerà di muoverti in una fitta nebbia. Non esiste un unico modo di essere e il continuum delle reazioni è tutto giustificabile. (…) Portare il peso del trauma e della guerra sarà sempre presente e, con il tempo, dovremo imparare di nuovo a vivere le nostre vite“.
Dunque, come si può andare avanti? “Un membro della facoltà ha affermato che non possiamo esistere senza speranza. Piuttosto che guardare video angoscianti di morte e distruzione, soprattutto quelli che saranno condivisi dagli stessi terroristi, trova quelli che esprimono gli atti di gentilezza e sostegno che sono il fondamento della nostra comunità. Ho visto innumerevoli video di persone che donano sangue, cucinano e cuociono cibo da inviare alle basi militari e imballano scatole di provviste. Qualcuno che conosco è intervenuto per aiutarmi facendo il cassiere in un supermercato per un giorno, dopo che i lavoratori regolari erano stati chiamati al servizio militare” ha raccontato la prima donna rabbino ortodossa. Dunque, per Sara, l’unica soluzione per uscirne è farsi coraggio a vicenda. “Non possono curare le migliaia di feriti. Ma scavare nella nostra umanità ci ricorda che c’è luce nell’oscurità”, conclude.