È importante imparare a riconoscere i segnali della notriphobia e affrontarli con consapevolezza.
Con l’arrivo dell’estate, la voglia di partire si fa sentire. Ma non tutti riescono a vivere questo desiderio con leggerezza. I tempi che stiamo vivendo tendono più verso i sacrifici che la spensieratezza e se da una parte veniamo attirati da posti incantevoli e dal divertimento, dall’altra il conto in banca piange, perchè spesso saccheggiato per il carovita e spese meno superflue, come le bollette sempre più alte. Per una fetta di italiani, desiderosi di staccare la spina (perché in fondo si vive una volta sola) l’idea di non avere una vacanza prenotata può trasformarsi in una vera fonte d’ansia.
È un fenomeno che ha preso piede soprattutto tra i più giovani e che ha un nome preciso: notriphobia. Termine quasi impronunciabile che descrive sostanzialmente la paura, o meglio l’angoscia, di non avere viaggi in programma. Ma attenzione: non si tratta solo di un semplice dispiacere per una vacanza mancata, perchè se non ne soffriremmo tutti. E’ qualcosa di più profondo, che diventa un’ossessione, che fa star male.
Dietro questa tendenza, che riguarda circa il 40% della popolazione secondo le ultime analisi sui comportamenti estivi, si nasconde un disagio psicologico che riflette l’instabilità di una generazione spesso esposta a stimoli continui e pressioni sociali. Il confronto costante con gli altri, amplificato dai social network, può accendere sentimenti di esclusione o inadeguatezza quando ci si sente “fuori dal giro” delle partenze.
Vado anch’ io
Le vacanze rappresentano quel periodo dell’anno in cui le persone assaporano la libertà. L’estate, il mare, le montagne e le giornate che si allungano stimolano la voglia di evasione e di avventura.
Tuttavia, questo va anche conquistato: è necessario avere tempo e disponibilità economiche e quando mancano entrambi, la delusione è forte. L’ansia di non concretizzare questo desiderio si manifesta in maniera più evidente tra i nati tra la fine degli anni Novanta e i primi anni 2000. La Generazione Z, infatti, vive il viaggio non solo come evasione, ma anche come occasione per affermare la propria identità. Non avere una vacanza all’orizzonte può significare, per alcuni, sentirsi bloccati, esclusi, o addirittura in “ritardo” rispetto ai coetanei.

Ma cosa si cela davvero dietro questa “paura di non partire”? Da un punto di vista psicologico, è una risposta alla pressione di dover sempre “fare”, “condividere”, “vivere esperienze memorabili”. In un mondo in cui la narrazione della propria vita passa attraverso immagini e storie pubblicate online, la vacanza diventa un simbolo di successo personale. La sua mancanza può suscitare frustrazione, insicurezza e, in alcuni casi, persino sintomi di ansia generalizzata.
Non è un caso che il solo gesto di prenotare un viaggio venga vissuto, al contrario, come un sollievo. Infatti, secondo diverse ricerche, anticipare la partenza con una prenotazione non solo rassicura, ma migliora anche l’umore, stimolando sensazioni di entusiasmo e benessere. Questo perché il cervello umano tende a reagire positivamente alla pianificazione di eventi piacevoli, attivando i circuiti della gratificazione.
A livello sociale ed economico, però, la situazione non è sempre favorevole. Molti rinunciano a viaggiare per motivi di budget, e nonostante il desiderio di partire sia fortissimo, le spese spesso obbligano a tagliare altrove. Questo compromesso, se non compreso e gestito, può trasformarsi in una fonte ulteriore di stress. In un tempo in cui partire è diventato quasi un dovere, forse la vera libertà è poter scegliere come e quando farlo, senza paura di restare fermi.