Qui negli Stati Uniti il “vulcanico” presidente Trump continua a firmare ordini esecutivi. Uno di questi, a febbraio, ha imposto alle agenzie indipendenti americane di iniziare a riferire direttamente all’Ufficio di Gestione e Bilancio della Casa Bianca.
E ora sembra ce ne sia un altro pronto, che dovrebbe riguardare la riforma della Nuclear Regulatory Commission (NRC), la commissione federale indipendente responsabile dei controlli di sicurezza sugli oltre 90 reattori nucleari americani, ma anche delle autorizzazioni alla costruzione dei nuovi reattori.
La bozza prevede la riduzione del personale dell’NRC, una “revisione completa” dei suoi regolamenti in coordinamento con la Casa Bianca e il team del DOGE (Dipartimento per l’efficienza governativa) di Elon Musk, ma soprattutto la riduzione dei tempi di analisi e approvazione dei progetti dei nuovi reattori e possibilmente l’allentamento degli attuali e rigorosi standard per l’esposizione alle radiazioni.
A questo si aggiunge, nel periodo dei tagli draconiani del duo Trump-Musk, la conferma dei finanziamenti (altri 900 milioni di dollari) a supporto dello sviluppo dei progetti di Small Modular Reactors (SMR) a stelle e strisce.
Sul medesimo argomento, dall’Italia mi raggiunge una notizia attesa da mesi: la settimana scorsa, il 14 maggio, è finalmente nata la società nucleare di riferimento per la ripartenza dell’energia atomica nel Bel Paese. Si tratta di una joint venture tra Enel (51%), Ansaldo Energia (39%) e Leonardo (10%) “che si occuperà dello studio di tecnologie avanzate e dell’analisi delle opportunità di mercato nel settore del nuovo nucleare”, leggo dal comunicato.
Il nome certo non è da Oscar per l’originalità (la nuova Srl si chiama Nuclitalia), ma “avrà il compito di valutare i design più innovativi e maturi del nuovo nucleare sostenibile, con un focus iniziale sugli Small Modular Reactor (SMR) raffreddati ad acqua”.
Tra i compiti iniziali della società un’analisi tecnico-economica per la definizione dei requisiti e la scelta delle tecnologie nucleari più interessanti per l’Italia.
Vista dagli USA, questa scelta non potrà che realizzarsi all’interno di un ventaglio di carte assai limitato. Eliminiamo Russia e Cina per ovvii motivi geopolitici contingenti (anche se oggi sono i Paesi più all’avanguardia nello studio e nella costruzione di SMR nel mondo).
Eliminiamo pure i sudcoreani, anche loro molto bravi nella realizzazione di grandi impianti nucleari, ma ancora un po’ indietro nella progettazione di quelli piccoli (gli americani li hanno però esclusi dal mercato europeo, attraverso un accordo legale-commerciale: non impediscono la costruzione di due loro grandi reattori in Repubblica Ceca, ma in cambio i coreani abbandonano le altre gare in Europa).
Rimangono quindi un paio di progetti di SMR americani (BWRX-300 di General Electric-Hitachi e NuScale dell’omonima start-up), un reattore inglese (Rolls Royce SMR) e uno francese (Nuward di EdF). Sono reattori in fasi di sviluppo differenti: il più avanzato è quello di GEH, che ha ricevuto da poco il via libera alla costruzione qui vicino, in Canada.
Ma la scelta, anche a detta della stessa Nuclitalia, dovrà riguardare non solo la tecnologia del reattore, ma anche le opportunità di partnership industriale e addirittura la possibilità di co-design, cioè di investimento italiano nello sviluppo del reattore e quindi di comproprietà.
Senza dimenticare il livello di “localizzazione” nella futura costruzione di SMR in Italia: in sintesi, la percentuale della centrale nucleare che verrà realizzata coinvolgendo le aziende della filiera nucleare italiana, seconda in Europa solo a quella francese in termini di numerosità, competenze e capacità.
Considerando anche questi criteri, la scelta non sembra scontata: alcune partnership (con i Paesi d’origine e con i loro sistemi nucleari complessivi, più che con i singoli progetti di reattore) offrono più vantaggi di altre. È un tema articolato, sul quale si potrà tornare in futuro.
Circa la nuova società, composta da tre aziende controllate dallo Stato, in particolare dal ministero dell’Economia (MEF), la cosa sembra seria, nonostante i ritardi nella nascita. Le persone designate ai vertici sono di sicuro molto competenti, con profili tecnici di rilievo e nessun “trombato” politico: una vera notizia, per una società “statale”.
Un segnale che si vuole (finalmente) fare sul serio sul nucleare in Italia? Un buon indizio, ma è troppo presto per dirlo.
Cosa farà il MEF? Fornirà una dote adeguata alla nuova sposa? Perché se non hai almeno alcune centinaia di milioni in tasca, non puoi sederti a certi tavoli per trattare una partnership seria.
E avrà una copertura e un indirizzo politico solido? Per quello, serve almeno l’approvazione del disegno di legge-delega nucleare da parte del Parlamento: qui il processo segna il passo, perché nonostante i proclami, il ddl non è ancora stato nemmeno approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri (questo ho saputo, non senza sorpresa, da alcune amiche romane).
Insomma, in sintesi: ottima mossa la nuova società, ma la strada verso il nucleare è ancora parecchio lunga. E non riguarda solo l’Italia: i soliti amici da Bruxelles mi trasmettono che nessun euro è previsto ad oggi sulla EU SMR Industrial Alliance, l’iniziativa della Commissione che dovrebbe favorire la realizzazione dei primi SMR in Europa.
Il confronto con i miliardi di dollari già messi dagli USA per lo sviluppo e la commercializzazione dei piccoli reattori modulari, è impietoso. Ma direi che lo sconforto nella comparazione – nonostante Trump – non si limita solo al nucleare.
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