È cominciato tutto dalla Danimarca. Nel 1985 il Parlamento vota un provvedimento volto a bandire l’energia nucleare nel Paese, e la risoluzione passa: da quel momento l’atomo viene categoricamente escluso da ogni strategia energetica.
Oggi, esattamente 40 anni dopo, il Governo danese ha lanciato un’indagine ufficiale con il fine di investigare il ruolo del nucleare nel mix elettrico. Questo rappresenta de facto una significativa rottura con il passato, rimanendo politicamente molto vendibile. Questo perché il testo della risoluzione parlamentare non fa esplicitamente riferimento all’annullamento del divieto, parlando appunto di un’indagine.
Questa subdola mossa politica voluta dai socialdemocratici e dai moderati (entrambi cautamente favorevoli al nucleare), non è piaciuta all’opposizione (fortemente favorevole), e l’effetto di questa mossa è stato a dir poco curioso: stando ai numeri ufficiali, infatti, buona parte dei voti contrari alla risoluzione pro-nucleare veniva proprio dai partiti che l’avevano originariamente proposta. Insomma, un voto contro la titubanza e la viltà del Governo, e non contro l’energia nucleare.
Sempre in Danimarca, un fondo di investimento del miliardario Joachim Ante ha annunciato di raccogliere 350 milioni di euro per lo sviluppo della supply chain per l’industria nucleare nel Paese.
E se dalla Danimarca arrivano buone notizie, anche il Belgio non è da meno. Con 102 voti a favore, 8 contrari e 31 astenuti, anche il Parlamento belga ha ufficialmente annullato l’ormai ventennale divieto per la costruzione di nuovi impianti nucleari. Questo significa che anche la legge per il phase-out votata nel 2003 è abrogata.
Ciò nondimeno, anche se questa è indubbiamente una grande vittoria per la sicurezza del futuro energetico dell’UE, non tutto è rose e fiori. L’azienda proprietaria degli impianti (ENGIE) ha già iniziato lo smantellamento di 3 dei 7 reattori, e il Governo belga purtroppo non può fare nulla per evitarlo, se non rimandando il più possibile il phase-out tramite estensioni della vita operativa, come avvenuto recentemente. ENGIE ha più volte ribadito che il nucleare non rientra nei piani della strategia di investimento. L’unica soluzione per salvare i reattori parrebbe essere la nazionalizzazione.
La vera notizia arriva però dalla Germania. A seguito dell’incontro tra il neoeletto cancelliere tedesco Merz e il presidente francese Macron, la Germania abbandona con una svolta storica tutte le opposizioni anti-nucleari a livello europeo. Secondo il Financial Times “Berlino ha segnalato a Parigi che non ostacolerà più i tentativi francesi di equiparare rinnovabili e nucleare nella legislazione energetica europea. Da questo momento ogni bias presente nelle policy UE contro l’energia nucleare verrà rimosso”.
Ma perché questa decisione è così importante?
In primo luogo, con il cambio di rotta tedesco la “coalizione anti-nucleare europea” composta principalmente da Germania, Austria e Danimarca è ufficialmente defunta, e questo non è da poco.
In secondo luogo, perché la Germania è sempre stata il più grande “faro” per le politiche ideologiche alla base di molte transizioni energetiche europee. Basti pensare alle continue battaglie per ostacolare l’inclusione del nucleare nel ventaglio delle soluzioni a basso impatto ambientale sotto forma delle note pressioni sui Paesi vicini (pensiamo ad Austria, Belgio, ecc.), al supporto economico verso studi “scientifici” fortemente di parte e non privi di bias come il World Nuclear Industry Status Report, direttamente finanziato con fondi ministeriali e di partito (come trasparentemente citato nei ringraziamenti finali).
Un altro caso eclatante è quello della Tassonomia Verde per la Finanza Sostenibile, provvedimento europeo che fornisce sussidi e fondi per i progetti di energia verde in tutti gli Stati membri dell’Unione. Ecco, per anni la Germania ha fatto di tutto per bloccare l’accesso dei fondi al nucleare, facendo lobbying per includere i ben più inquinanti impianti a gas sfruttando ridicoli cavilli burocratici. E volendo, di esempi ce ne sono a bizzeffe; dagli insensati target di installazione di rinnovabili costruiti apposta per mettere in difficoltà i piani di decarbonizzazione francese, fino alla totale autodistruzione dei network di competenza industriale e accademica.
Ora, nonostante l’impatto di questa decisione sia storico e senza precedenti, il cambio di rotta della Germania non impatterà in alcun modo le politiche interne di abbandono della fonte nucleare, in vigore a seguito dell’incidente alla centrale giapponese di Fukushima avvenuto nel 2011. L’ultimo degli oltre 25 reattori tedeschi è stato disconnesso dalla rete nell’aprile del 2023: da allora la Germania si è privata di una buona fetta di elettricità pulita, economica e sostenibile, generando un aumento significativo nelle emissioni di CO2, triplicando le importazioni elettriche e causando un danno multimiliardario all’economia tedesca in un momento critico.
Nonostante tutto, le carte in tavola per il ritorno del nucleare nel Paese sono buone, certamente migliori di quelle disponibili fino a pochi mesi fa, con un Parlamento fortemente contrario a fronte di una posizione nettamente favorevole dell’opinione pubblica tedesca (fonte: Public Attitude toward Clean Energy Index 2023).
È ormai evidente come il sentimento politico intorno a questa preziosa fonte di energia stia cambiando radicalmente e rapidamente. Come sempre, però, la realizzazione arriva sempre quando ormai sembra troppo tardi, a seguito di grandi crisi energetiche, blackout e instabilità diffuse. D’ora in poi, i punti di partenza per una decarbonizzazione basata sulle evidenze scientifiche dovranno essere la razionalità e la neutralità tecnologica.
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