Il nuovo nucleare non solo rappresenta una soluzione per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica insieme alle rinnovabili, ma può avere anche un impatto positivo sul Pil italiano. È quanto emerge dal rapporto “Il nuovo nucleare in Italia per i cittadini e le imprese“, realizzato da Edison, Ansaldo Nucleare e The European House – Ambrosetti, presentato oggi da Valerio De Molli al convegno “Il nucleare sostenibile: l’Italia riparte“, organizzato a Palazzo Pirelli, a Milano, dal Dipartimento Ambiente della Lega coordinato dal Consigliere Riccardo Pase.
Ogni ragionamento in questo ambito non può prescindere da un’analisi della domanda di energia elettrica, che è crescente in Europa e in particolare in Italia, per due motivi: il Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti e TEHA Group cita nel suo intervento l’elettrificazione dei trasporti e la digitalizzazione, “un vettore sottostimato“. Quindi, i consumi elettrici saranno assorbiti anche dalla transizione digitale.
Ma questo è solo uno dei motivi per il quale aprirsi al nucleare, che peraltro si lega al tema della sicurezza. “La quota russa sul totale delle importazioni di gas è scesa moltissimo, però se guardiamo il 24 sul 23 è rimbalzata per 2 in Italia ed è cresciuta del 25% in Europa, quindi siamo tutt’altro che vicini dalla derussificazione della fornitura del gas“, ha spiegato De Molli.
In questo quadro il nostro Paese “ha una potenza geostrategica molto rilevante” essendo l’unico in Europa con “cinque accessi strategici di pipeline, di cui quattro nel sud del Paese“. L’Italia, dunque, è “una realtà molto rilevante per la sicurezza energetica di approvvigionamento per tutta l’Europa“.
RICERCA E INDUSTRIE: ITALIA PRONTA
Alla sicurezza e alla domanda si intreccia il tema tecnologico, perché la ricerca “sta accelerando moltissimo“, per cui ci si aspetta una diminuzione dei costi e un aumento delle prestazioni. Infatti, De Molli ha segnalato ceci sono 80 progetti nel mondo già in corso di realizzazione o in corso di approvazione. “Il treno dell’investimento e dello sviluppo del nuovo nucleare è già partito” e l’Italia ha le competenze per raccogliere questa sfida, visto che ha “una leadership di pensiero, di ricerca, di accademia e siamo addirittura i secondi più citati, vuol dire più influenti”.
Lo dimostra il fatto che l’Italia sia terza, a pari merito con Francia e Germania, per ricerche e pubblicazioni scientifiche in ingegneria su 10mila abitanti. Inoltre, siamo i secondi più citati al mondo e terzi per prolificità.
Il rapporto Edison, Ansaldo Nucleare e The European House – Ambrosetti non si è soffermato solo sulla ricerca, ma si è occupato anche di ‘misurare’ la dimensione della filiera industriale. Escludendo la forza di Enel, che gestisce già un business nucleare, ci sono 70 aziende attive per 4,1 miliardi di fatturato, 13.500 dipendenti, 1,3 miliardi di valore aggiunto e 200 milioni circa di investimento annuo nell’ultimo disponibile, che è il 2022. De Molli ha rimarcato, dunque, che la filiera “è molto attiva e produttiva“.
L’Italia ha anche una particolarità, quella di avere una distribuzione su tutte le fasi della filiera, pur non avendo una sua produzione nucleare.
DALLA DECARBONIZZAZIONE ALL’AUTONOMIA STRATEGICA
I benefici del nucleare sono principalmente tre: il primo, e il più evidente, riguarda il contributo alla decarbonizzazione e alla stabilizzazione della fornitura. A tal proposito, De Molli ha evidenziato come l’Italia abbia “un disperato bisogno di stabilizzazione della fornitura rispetto alle rinnovabili“. Se si ipotizza l’installazione di 20 impianti al massimo, che sarebbe alla portata dell’Italia, si possono avere 6.8 gigawatt di capacità installata nucleare entro il 2050, circa il 10% del totale.
Ma per il CEO di TEHA c’è un altro beneficio, quello dell’autonomia strategica e della resilienza. Analizzando l’indice di dipendenza elettrica, per l’Italia “è gravemente sbilanciato“. Non trovano appiglio i timori riguardanti la vicinanza dai siti nucleari, perché attualmente ve ne sono già 10 attivi tra Francia, Svizzera e Slovenia, che sono a portata di Mantova e Milano.
Secondo stime #TEHA, il nuovo #nucleare può abilitare al 2050 un impatto economico per il sistema-Paese di ~€50 miliardi di valore aggiunto pic.twitter.com/jnbE3k7s5K
— The European House – Ambrosetti (@Ambrosetti_) April 14, 2025
L’IMPATTO ECONOMICO DEL NUCLEARE
Sarebbe, dunque, un peccato farsi sfuggire una sfida con il potenziale che ha l’Italia, visto che l’Europa è già esportatrice di tecnologia nucleare e ha una potenza superiore a Usa e Russia. Ma i benefici sono anche economici, perché il nuovo nucleare può abilitare al 2050 un impatto economico di 50 miliardi di valore aggiunto, pari al 2,5% del Pil italiano. De Molli cita 46 miliardi di fatturato possibile per la partecipazione a progetti di sviluppo europei e per lo sviluppo della nostra strategia.
“Questi agganciano un valore aggiunto target di 15 miliardi secondo la struttura economica di oggi“, che peraltro sono migliorabili, visto che “aumentando i volumi cresce la competenza e quindi migliorano l’efficienza e la capacità di di performance“. Per questo il calcolo finale è di un potenziale per il nostro Paese di 50 miliardi di valore aggiunto al 2050, cioè 2,5% del PIL, “che è una cifra molto rilevante“. Per De Molli bisogna attivarsi in fretta: “È urgente agire ora, abbiamo anche una mappa di sei cluster sulle quali abilitare azioni di politica industriale. Il mondo è già superattivo“.
Il nuovo #nucleare si propone come soluzione – in ottica complementare con le rinnovabili – per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, per il rafforzamento della sicurezza energetica del Paese e per la competitività
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