NUMERI DEL LAVORO/ Il passaggio urgente (per le pensioni) dopo la pioggia di sussidi

- Giampaolo Montaletti

Il nono Rapporto di Itinerari Previdenziali contiene dati che offrono spunti interessanti anche per le prospettive del mercato del lavoro

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Nel 2020 il numero dei pensionati in Italia è salito di 6.037 unità. Lo evidenzia il nono Rapporto di Itinerari Previdenziali che analizza i dati del 2020 e l’impatto della pandemia sul sistema pensionistico italiano.

Il rapporto è come al solito molto dettagliato, in questo articolo sarà bene fermarsi ad alcuni dati che riguardano il mercato del lavoro e l’impatto che sul mercato hanno avuto i molti sussidi che, a vario titolo, hanno sostenuto lavoratori e disoccupati nell’anno più duro della pandemia.

Nel 2020 Istat ha rilevato 537.000 occupati in meno, per effetto della chiusura di molte attività (chiusura a volte temporanea) che ha provocato il mancato rinnovo dei contratti a termine. Con questo calo il rapporto fra occupati e pensionati è sceso a 1,4238. Vale a dire che ogni 100 pensionati ci sono circa 142 persone che lavorano. Queste 142 persone, con i loro pagamenti contributivi, finanziano le pensioni dei 100 già pensionati.

Naturalmente più il rapporto si abbassa, meno il sistema pensionistico diventa sostenibile: il lavoro paga le pensioni, mai dimenticarlo.

Il numero dei pensionati è aumentato di poco, ma nel complesso i pensionati sono 16.041.202. L’aumento della mortalità causata dal Covid (stimata del 96,3%) ha ridotto i ranghi dei percettori di pensioni. Il (triste) risparmio è stimato in circa 1,1 miliardi nel 2020 e circa 11 miliardi nel decennio a seguire. Speriamo di non dover leggere che si tratta di un “tesoretto”; gli interventi di sostegno al reddito dei lavoratori causa Covid nelle varie forme (cassa integrazione Covid, bonus, ecc.) sono costati poco più di 27 miliardi in un anno; il rapporto è di 1.000 euro di spesa nel sostegno al reddito contro 39 di “risparmio triste”.

Vale la pena di scorrere un poco la lista della spesa in sussidi.

La cassa integrazione Covid è costata 20 miliardi per circa 6,5 milioni di beneficiari, in media poco più di 3.500 euro a beneficiario. Naturalmente la cassa integrazione è durata pochissimo per alcuni e moltissimo per altri, ma 6,5 milioni di persone sono più del 28% degli occupati.

Meno di tremila euro a testa sono andati nel prolungare Naspi e Dis-Coll a circa 206.000 persone, mentre i vari bonus sono andati in più di 5 milioni di pagamenti di circa 1.300 euro l’uno. Fanno parte di questi anche più di 2 milioni e 800 mila lavoratori autonomi.

Ma naturalmente la lista non finisce qui: anche gli strumenti ordinari di difesa del reddito sono andati sotto pressione. I beneficiari di Naspi sono stati 3.200.000 circa per un costo complessivo di 16,7 miliardi (circa 5.220 euro a beneficiario in media).

Mettendo tutto assieme, fra strumenti Covid e ordinari la spesa complessiva è stata di poco inferiore ai 42 miliardi di euro con una platea di percettori vastissima.

L’impatto di bonus e sussidi probabilmente è visibile oggi nella ripresa di consumi e Pil che ha contraddistinto il 2021. Certo la scelta di allargare la cassa integrazione e, con i bonus, di dare sostegno, anche se parziale, ai lavoratori autonomi è stata condivisa da molti altri Paesi europei. Negli Stati Uniti si è scelto invece di dare maggiore libertà di licenziamento rendendo più lunghi i periodi di supporto con i sussidi di disoccupazione. Questa seconda scelta privilegia la mobilità dei lavoratori fra un settore e l’altro, ma ha contribuito al fenomeno delle “grandi dimissioni”. Il mix fra sussidi per i disoccupati e sussidi per gli occupati (come la cassa integrazione) volti a ridurre i licenziamenti sono difficili da trovare; nel caso italiano hanno scavato un ulteriore fossato fra lavoro tutelato (a tempo indeterminato, con divieto di licenziamento e cassa integrazione) e lavoro non tutelato (contratti a termine di breve durata e parte del lavoro autonomo economicamente dipendente da pochi committenti).

Il dualismo del mercato del lavoro italiano resterà visibile anche nel futuro pensionistico dei lavoratori. Il rapporto si conclude con alcune raccomandazioni per mantenere il sistema pensionistico sostenibile. Ne sottolineo solo due:

– facilitare l’invecchiamento attivo, facendo in modo che le persone possano restare più a lungo al lavoro ma in maniera adeguata alla loro età;

– potenziare le politiche attive del lavoro assieme alla formazione sul lavoro.

Comunque la si pensi su tempi e metodi, si tratta di raccomandazioni che tutti possono capire e condividere e che dovrebbero costituire la vera base di un patto sociale ampio fra Governo e parti sociali. Passare dai sussidi pagati col debito pubblico al sostegno del lavoro che mantiene stabile il sistema pensionistico è diventato urgente; il Pnrr è lo strumento per attuare il cambiamento, speriamo non diventi la scusa per rimandare.

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