Il Programma nazionale esiti analizza l’efficacia delle cure in sanità: ancora troppe differenze tra le Regioni, ma anche tra ASL dello stesso territorio
Un Servizio sanitario nazionale (SSN) all’altezza dei suoi compiti deve misurare anche gli esiti dei servizi e delle cure che mette a disposizione, non solo fermarsi alla misura della sua organizzazione, del suo ciclo di produzione e delle prestazioni o attività erogate.
E’ certamente fondamentale sapere quanti medici ci sono, quanti ospedali, quanti letti, quanti ricoveri, quante prestazioni ambulatoriali, quanti farmaci, quanti …, quanti …, quanti …, ma tutto questo sforzo organizzativo, oltre ovviamente a far girare l’economia, cosa produce in termini di salute, in termini di esiti, di benefici per il cittadino? Sicuramente la buona attesa di vita di cui gode il paese in termini di numero di anni vissuti sia dagli uomini che dalle donne è anche una conseguenza del servizio sanitario che abbiamo masi tratta di un esito un po’ generico perché molti altri sono i fattori che intervengono. E allora, come misurare un esito più specifico delle cure che vengono erogate?
Il SSN italiano si è posto questa domanda tre decenni dopo la sua istituzione, sulla spinta di attività svolte dal Servizio di epidemiologia della Regione Lazio, ed ha dato vita dal 2012 al Programma nazionale esiti (Pne) collocandolo all’interno delle attività di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali). L’ultimo rapporto prodotto dall’Agenzia è dell’anno 2024 e si riferisce ai dati del 2022-2023, dati che sono anche disponibili in uno specifico sito internet (https://pne.agenas.it/home).
Il Programma consiste anzitutto nel calcolo di una serie di indicatori suddivisi per aree di interesse (discipline) e tipo di esito (Tabella 1), seguite poi da attività di supporto e assistenza (audit) per le strutture o regioni che vogliono effettuare approfondimenti soprattutto di fronte ad esiti che possono essere migliorati.
Il percorso valutativo prevede la applicazione di una specifica metodologia per ogni indicatore, a partire da dati disponibili a livello nazionale e sfruttando tecniche statistiche che permettono produrre risultati confrontabili tra strutture, territori, o periodi diversi.
Tabella 1. Numero di indicatori valutati nel Programma nazionale esiti, suddivisi per area di valutazione, tipo di esito, e contesto assistenziale. Anni 2022 e 2023. Fonte: Agenas.
Come traspare dalla Tabella 1, non tutte le aree sanitarie sono coperte dalla valutazione e per le discipline indagate la copertura è molto eterogenea: si va da pochi indicatori (Psichiatria, Malattie infettive, Pronto soccorso) a moltissimi (Cardiovascolare, Oncologia); con una netta prevalenza di indicatori provenienti dai dati di ricovero anche quando si vogliono misurare gli esiti, ad esempio, dell’assistenza territoriale.
Il progetto è in continuo aggiornamento, soprattutto per quanto riguarda gli indicatori di aree poco coperte dalla attuale rilevazione o per sostituire gli indicatori in uso con indicatori più adeguati.
Nel seguito, si presenta qualche esempio di risultato riferito all’assistenza territoriale e all’accesso al pronto soccorso. Le valutazioni di esito sono frequentemente utilizzate per produrre classifiche di strutture o di territori, nonostante le raccomandazioni contrarie sempre presenti nei rapporti ufficiali. È un uso dei risultati che si sconsiglia fortemente, cosicché anche dai risultati qui proposti che potrebbero indirizzare verso la formulazione di classifiche sono stati eliminati da tabelle e figure gli elementi che possono identificare la regione o la ASL. Non solo, ai fini delle nostre considerazioni, è stata effettuata per ogni indicatore una elaborazione particolare: in una prima fase è stato calcolato il rapporto tra la frequenza degli eventi di volta in volta valutati in ogni ASL e il valore nazionale; in una seconda fase è stata calcolata per ogni regione la percentuale di ASL in cui il rapporto è superiore ad uno, vale a dire che la frequenza degli eventi è superiore al valore nazionale.
La Tabella 2 riporta i risultati per alcuni degli indicatori valutati nel Pne: tre indicatori di mortalità per l’assistenza territoriale ed un indicatore di volume per l’accesso in pronto soccorso.
Tabella 2. Esempio di indicatori di esito per l’assistenza territoriale valutati nel Programma nazionale esiti, suddivisi per regione. Frequenza dell’evento in Italia (x 1.000 casi o 1.000 abitanti), numero di ASL di ogni regione, percentuale di ASL con frequenza superiore al valore nazionale. Anno 2022. Fonte: nostra elaborazione di dati Agenas.
La mortalità a distanza di un anno seguita alla frattura del collo del femore, nel 2022, ha registrato a livello nazionale una frequenza di 19,73 decessi ogni 1.000 casi di frattura. Considerando le quasi 120 ASL analizzate si può osservare la grande variabilità di esiti riscontrati: in qualche regione la percentuale di ASL con valori superiori alla media nazionale è zero o vicina a zero, in qualche altra ASL la stessa percentuale è 100 o vicina a 100. Si considerino a titolo di esempio le regioni J e M, entrambe con 10 ASL: nella prima il 10% delle ASL (cioè una sola) ha una frequenza dell’indicatore superiore al valore nazionale, nella seconda l’80% delle ASL (cioè otto ASL) ha una frequenza dell’indicatore superiore al valore nazionale. Nella regione J, quindi, la mortalità a distanza di un anno dalla frattura del collo del femore è bassa (inferiore al valore nazionale in quasi tutte le ASL); all’opposto, nella regione M la mortalità a distanza di un anno è alta (superiore al valore nazionale in quasi tutte le ASL).
Ciò che vale per il primo indicatore si ripropone per tutti gli indicatori esaminati: per la mortalità a distanza di un anno dopo un episodio di frattura del collo del femore, o di ictus ischemico, o di infarto del miocardio, esiste una enorme variabilità negli esiti della cura a seconda della ASL dove si risiede.
Per gli accessi al pronto soccorso, si tratta degli accessi registrati in PS nei giorni feriali, da lunedì a venerdì e tra 8.00 e le 20.00, da soggetti adulti che hanno dato luogo ad una dimissione con codice bianco o verde, nell’anno 2023.
La Figura 1 dettaglia, a titolo di esempio, i risultati disponibili per l’indicatore “Infarto Miocardico Acuto – Mortalità a 1 anno”, presentando i rapporti tra il valore riscontrato in ogni singola ASL e il valore nazionale. Si osserva che in molte ASL tale rapporto è inferiore a 0,8 (cioè si muore di meno) mentre in altre il rapporto è superiore a 1,4 (cioè si muore di più).
Figura 1. Esempio di indicatore di esito per l’assistenza territoriale: Infarto Miocardico Acuto – Mortalità a 1 anno – Rapporto tra il valore nella ASL e il valore nazionale. Valori per singola ASL delle regioni. Anno 2022. Fonte: nostra elaborazione di dati Agenas.
La Tabella 3 riporta altri esempi di indicatori di ospedalizzazione ritenuti segnale di un potenziale deficit di attenzione ed intervento da parte dell’assistenza territoriale: ricoveri per asma e per BPCO (broncopneumopatie croniche ostruttive) negli adulti, per diabete non controllato e senza complicanze, per gastroenterite pediatrica, per infezioni del tratto urinario, per influenza, per ipertensione arteriosa, e per scompenso cardiaco, tutti riferiti ai ricoveri con dimissione nell’anno 2023. Anche per questi indicatori colpisce l’elevata eterogeneità negli esiti tra le diverse ASL. Ricordiamo che, di questi indicatori, il Pne ne valuta più di 200.
Tabella 3. Esempi di indicatori di esito per l’assistenza territoriale valutati nel Programma nazionale esiti, per regione. Frequenza dell’evento in Italia (x 1.000 abitanti), numero di ASL di ogni regione, percentuale di ASL con frequenza superiore al valore nazionale. Anno 2023. Fonte: nostra elaborazione di dati Agenas.
Non entriamo nel merito dei singoli indicatori discutendo del loro significato e della loro adeguatezza per valutare l’assistenza territoriale, ma affermiamo che non è una bella notizia sapere che gli esiti delle cure (così come misurati dagli indicatori che chi si occupa del Pne ha selezionato) ci restituiscono l’immagine di un paese che non garantisce a tutti la stessa efficacia della azione di cura. E questa efficacia non solo è differente tra regione e regione (e per evitare classifiche in questo scritto si è esplicitamente scelto di oscurare l’identificazione territoriale) ma anche all’interno della stessa regione tra ASL differenti.
Fin qui si è fatto un bell’esercizio di stile in tema di valutazione. Ma quali conseguenze produce il risultato della valutazione? A parte i soliti criticoni per i quali quello che si fa non va mai bene, soprattutto se la propria regione o le proprie strutture non risultano premiate dalla valutazione (e quindi deve essere cambiata la metodologia), a chi scrive risulta purtroppo che i risultati del Pne (salvo qualche mosca bianca che si avventura nella azione di audit) passano presto nel dimenticatoio, soprattutto quando la valutazione non è positiva e richiederebbe un deciso intervento. La realtà è che a nessuno piace essere valutato e giudicato, mentre dovrebbe costituire un impegno prioritario nei confronti dei cittadini dare conto degli esiti della attività sanitaria erogata e non limitarsi ad eseguire la prestazione.
Da una parte, si deve cercare di ridurre la variabilità entro regione, particolarmente evidente per le regioni più grandi. È un compito che spetta ad ogni singolo ente territoriale: se, per un verso, è inquietante per i residenti sapere che gli esiti delle cure dipendano dalla ASL in cui risiedono, per altro verso lo stesso governo regionale non può sentirsi tranquillo se constata che in aree diverse della medesima regione si hanno esiti diversi per una stessa cura.
D’altra parte, è ovvio che va ridotta anche la variabilità tra regioni, compito che mette in gioco maggiormente il governo nazionale. E’ fondamentale che alla misura delle attività svolte segua la misura delle conseguenze, positive o negative che siano, e per farlo occorre che le conseguenze siano parte integrante del percorso di valutazione e non una voluttuaria fase aggiuntiva.
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