Numero 24 è un film del regista John Andreas Andersen che racconta l’affascinante vicenda di Gunnar Sønsteby, uomo della resistenza norvegese durante la Seconda guerra mondiale. A interpretare l’eroe norvegese sono due attori: Sjur Vatne Brean che ne impersonifica la vita avventurosa delle missioni di guerra ed Erik Hivju, che invece prende i panni di Sønsteby ormai anziano e protagonista di un’assemblea studentesca in cui racconta ai ragazzi quello che ha fatto.
Il film Numero 24 documenta in modo molto preciso la condizione della Norvegia occupata dai nazisti e fa percepire agli spettatori il dramma delle azioni di guerra, anche la personalità di Gunnar Sønsteby è ben ricostruita: un uomo determinato, che mette la libertà al primo posto e sa riconoscere il prezzo della libertà a cui sacrifica tutto. “Si dice che la salute sia la cosa più importante, ma non è vero. Pace e libertà lo sono molto di più”, è quanto afferma per evidenziare il valore assoluto della libertà e come questa sia indispensabile per una pace vera.
Quella di John Andreas Andersen con Numero 24 però non è una celebrazione dell’eroe Gunnar Sønsteby che comunque ha ottenuto i più grandi riconoscimenti per come ha guidato la lotta della resistenza norvegese. Il regista del film Numero 24 pone delle domande molto intense e vertiginose allo spettatore, di fatto impedendogli di fare un facile rapporto rapporto di uguaglianza, lotta per la libertà = ciò che si è fatto per liberare il popolo andava comunque e sempre bene. Il regista ci mostra il dramma interiore di Gunnar Sønsteby e ce lo mostra attraverso le domande di un ragazzino che partecipa all’assemblea studentesca con l’eroe norvegese. È un ragazzino cui è stato ucciso un parente, che proprio Gunnar Sønsteby ha fatto uccidere e che era un suo amico.
Questo ragazzino chiede all’eroe norvegese se non abbia mai ucciso dei norvegesi, cosa che è accaduta e in modo programmatico, poi chiede se non si potessero perdonare quelle persone che avevano tradito la Norvegia mettendosi con i nazisti, poi lo sfida sulla non violenza, gli domanda se non avesse mai pensato di combattere il nazismo come ha fatto Gandhi con gli inglesi fino ad arrivare alla sua questione personale, a chiedere se non sappia come sia finito il suo parente, quell’uomo ucciso dalla Resistenza perché aveva scritto una lettera al comando nazista dicendosi pronto a tradire lo stesso Gunnar Sønsteby e altri patrioti norvegesi. E qui nelle immagini che scorrono dell’amico con cui andava sulle nevi si capisce tutto il dramma interiore dell’eroe norvegese. È un dramma irrisolto, e in questo sta la genialità del regista John Andreas Andersen, di consegnare a ogni spettatore delle domande, e non di celebrare delle imprese eroiche che pur rimangono.
C’è un’immagine che rimane, ed è quella delle mani di Gunnar Sønsteby che accarezzano quelle del ragazzino: stanno parlando, non si sa che cosa si dicano, ma si avverte una intensità da brividi, è la profondità di un rapporto, ritrovare quello che si era perso.
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