La Commissione Ue vorrebbe introdurre una nuova tassa, una “carbon tax” destinata a colpire i consumi privati. Il carico sui cittadini sarebbe esorbitante
Dai tempi della guerra d’Etiopia – e forse anche prima – quando uno Stato deve affrontare delle spese straordinarie la manovra classica è sempre quella di aumentare le accise sulla benzina. Anche la UE non fa eccezione, e – secondo le indiscrezioni di tutta la stampa europea – l’idea è ora di varare il nuovo balzello che dovrebbe entrare in vigore dal 2027.
Ovviamente lo stile e il lessico hanno sempre la loro parte e quindi non sarà “solo” una nuova tassa; viene piuttosto presentata come un positivo e necessario contributo a contenere l’inquinamento ambientale.
Il fatto nuovo è che si pensa ora di tassare non il consumo, ma la fonte stessa della produzione dei carburanti, visto che la nuova tassa sarebbe chiamata “tassa sul carbonio” nell’ambito del sistema ETS “Emission Trading System”.
Applicandola alle aziende che producono idrocarburi le si renderebbe obbligate ad acquistare, per poter produrre, dei “buoni green”. Ovviamente il costo di questi buoni verrebbe poi alla fine girato sul prezzo pagato dal consumatore finale.
La nuova carbon tax colpirebbe però non solo benzine e gasolio per autotrazione, ma anche l’energia destinata al riscaldamento domestico e alle produzioni industriali. In pratica sarebbe una nuova imposta sulle emissioni di CO2 generate da caldaie, imprese ed automobili.
Una soluzione perfetta per cercare di tappare i buchi di bilancio e ammantarsi contemporaneamente di buone intenzioni “green” cercando di schivare da subito le proteste che sono immediatamente cominciate a circolare.
Insomma, una nuova “tassa ambientale” per chi del green ha fatto il suo Vangelo e che alla fine servirà invece per coprire soprattutto i conti dell’euro-burocrazia che cresce ogni anno. D’altronde – si sa – “la democrazia ha il suo costo”.
L’idea in fondo non è nuova. È in gestazione già dal 2021 ed ha mosso i suoi primi passi al culmine della passione euro-green, quella che negli ultimi tempi ha però perso un po’ di smalto.
Si tratterebbe ora di obbligare appunto i produttori di carburante ad acquistare dei “cap-and-trade”, ovvero questi buoni “green”, per avere il permesso di lavorare.
In passato questo sistema di compravendita ha già interessato l’industria pesante e verrebbe ora esteso a vari livelli, con l’obiettivo di incassare circa 700 miliardi di euro tra il 2027 e il 2035.
C’è chi ha già fatto i conti: una tassazione di 149 euro per tonnellata di CO2 prodotta (questo è il livello che si sostiene essere stato valutato a Bruxelles) porterebbe ad un rincaro fino al 40% dei prezzi dei combustibili e dei carburanti all’origine, con un aumento di pari importo, per esempio, sul costo del riscaldamento domestico.
Che l’idea stia prendendo piede è confermato dal fatto che l’UE – rendendosi conto dell’impopolarità della misura – sta già mettendo allo studio l’ipotesi di destinare circa il 12-15% dell’introito ad un “Fondo sociale per il clima” da destinare a finanziare l’isolamento termico delle case e ad incentivare i trasporti pubblici verso la scelta elettrica.
D’altronde l’Unione Europea si ritrova con un deficit di circa 30 miliardi di euro l’anno, in aumento anche per i recenti stanziamenti previsti per la difesa e i contributi post-Covid.
Per coprire questi costi l’UE avrebbe così predisposto una griglia di 16 ipotesi di tassazione da equilibrare poi a seconda del grado delle reazioni che potrebbero causare. Tra le altre materie tassabili, una tassa potrebbe essere applicata sui servizi digitali, oltre che su zucchero e tabacco. Quella sullo zucchero verrebbe proposta come “misura sanitaria” sulle bevande gassate e dolcificate, ovviamente “per favorire una alimentazione più sana ed equilibrata”.
È bello pensare che l’Europa si occupi così tanto della nostra salute. Anche se non andrebbe dimenticato che la rivolta dei gilet gialli in Francia iniziò proprio per l’aumento del costo dei carburanti.
Un po’ tutti i governi sono preoccupati per questa deriva fiscale, ma – ovviamente – è meglio non dichiararlo.
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