Trump blandisce Putin perché gli serve per risolvere i problemi fra Taiwan e Cina e con la Corea del Nord, oltre che per trovare un accordo sul nucleare con l’Iran. Tutte questioni in cui sono coinvolti alleati della Russia. Per questo la tregua con l’Ucraina lascia spazio a un accordo ben più ampio che prelude a una nuova Jalta, una spartizione del mondo tra superpotenze secondo zone di influenza.
In tutto questo Zelensky e le sue richieste assumono un ruolo marginale, così come, spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, le velleitarie iniziative del gruppo dei “volenterosi” intorno a Francia e Regno Unito. Una coalizione che, muovendosi fuori da NATO, ONU e UE, sembra sconfessare le istituzioni sulle quali l’Occidente ha puntato finora.
A che punto sono le trattative USA-Russia-Ucraina per la tregua? Il cessate il fuoco sul Mar Nero è una novità significativa?
È significativa perché fa capire che l’Ucraina è solo un elemento di una trattativa più ampia, con la quale gli americani cercano di riportare la Russia nell’alveo della comunità internazionale. A Trump serve una bella intesa con Mosca per allentare la tensione là dove interessa davvero all’America, in Medio Oriente e in Asia. Quando si sono incontrati in Arabia Saudita, Lavrov e Rubio hanno parlato prima di tutto di relazioni diplomatiche, politiche ed economiche USA-Russia.
La tregua sul Mar Nero conferma questo quadro?
Il ripristino della capacità russa di esportare fertilizzanti e prodotti agricoli è un obiettivo che non è certo nell’interesse dell’Ucraina, ma riguarda l’interesse americano a riportare la Russia in partita: Mosca, ovviamente, chiede agli organismi finanziari l’abrogazione delle sanzioni nei suoi confronti e gli statunitensi sono tentati di concederla. Nel Mar Nero da tempo non si combatte più, solo scaramucce, ma è un fronte in cui la pacificazione consentirà ai russi di rilanciare gli affari, riducendo le tensioni in un’area dove agiscono le flotte di Paesi NATO come Romania e Bulgaria.
Ma nella trattativa si è già parlato di cessioni territoriali?
Zelensky non ne ha voluto parlare, mentre i russi potrebbero accampare altre pretese sul litorale del Mar Nero ucraino, inclusa Odessa. Se Zelensky non riconoscerà la sovranità russa sulle regioni che Mosca si è annessa, si continuerà a combattere: probabile che Putin allora pensi anche alla Nuova Russia, a nord del territorio controllato finora, quindi Kharkiv, Nikolayev, Odessa. Per Zelensky sarebbe meglio chiudere subito il negoziato: più si va avanti, più rischia di perdere territori.
La tregua di 30 giorni è più vicina o no? Trump ha rilasciato dichiarazioni benevole nei confronti di Putin, poi ha detto che il capo del Cremlino potrebbe prendere tempo. Come stanno le cose?
Se Trump tratta bene Putin è perché ne ha bisogno. Biden ha spinto la Russia a guardare a est e a tagliare i ponti con l’ovest, tanto è vero che ora ha un rapporto più forte con la Cina, un’alleanza stretta con la Nord Corea e anche con l’Iran. Trump si è accorto che la strategia di destabilizzare Mosca per creare un grosso problema in Asia alla Cina, ritardando i piani cinesi di penetrazione marittima nel Pacifico, è fallita, e sta cercando di riportare la Russia verso l’Occidente per toglierla dall’abbraccio di Pechino.
L’obiettivo di Trump, nella sostanza, qual è?
Se vuole passare alla storia come pacificatore dovrà risolvere le tensioni fra Taiwan e Cina, riprendere il negoziato con Kim Jong-un, trovare una soluzione alla questione del nucleare iraniano. Se avrà Putin dalla sua parte, sarà più facile. Il capo del Cremlino lo sa ed è disposto ad aiutarlo: la dottrina Primakov sul multipolarismo prevede intese tra le grandi potenze, che si dividono le aree di influenza. Non per niente il New York Times ha parlato di una nuova Jalta.
La Russia non ha fretta: sul campo è in posizione di netto vantaggio e sa che l’Ucraina non è disposta a cedere territori. Se lo fosse, e se rinunciasse a un riarmo e a truppe straniere NATO in casa sua, si firmerebbe non una tregua, ma un accordo di pace.
Ma Zelensky non è consapevole del rischio di perdere più territorio di quello che ha già perso?
Prolungare il conflitto aiuta Zelensky: in caso di pace, probabilmente, non sarebbe più presidente. Gli USA puntano su quello. Però lui ha il sostegno britannico e si fa forza su Regno Unito ed europei.
Oggi c’è l’ennesima riunione del gruppo dei volenterosi. Basta l’idea di una forza di interposizione, che Mosca non vuole formata da truppe NATO, per tenere insieme questi Paesi intorno a Macron e Starmer?
La gran parte delle nazioni che si potrebbero rendere disponibili per inviare truppe in Ucraina in un contesto di pace si aspetterebbero di farlo con un mandato delle Nazioni Unite. Ma una missione di questo tipo dovrebbe passare dal Consiglio di sicurezza, dove la Russia ha diritto di veto. Se poi fosse approvata, gli standard ONU prevedono che le missioni di pace siano effettuate da contingenti di Paesi che non hanno a che fare con i belligeranti.
Nella ex Jugoslavia, tra i soldati ONU non c’erano né tedeschi né italiani, perché eravamo stati potenze occupanti nella Seconda guerra mondiale. In Ucraina non ci potrebbe essere nessuna nazione europea della NATO che ha rifornito Kiev di armi.
Ma il gruppo dei volenterosi che futuro ha?
Parlare in Europa di Coalition of the willing è mettere in cantina NATO e UE. Se la forza di interposizione non viene organizzata sotto le bandiere delle Nazioni Unite, dell’Alleanza Atlantica o dell’Unione Europea, stiamo seppellendo le istituzioni che per 80 anni abbiamo indicato come nostro cardine.
Se vogliamo dare un senso a questa operazione, possiamo dire che, mentre i rapporti USA-Europa sono ai minimi storici, Francia e Gran Bretagna cercano di ritagliarsi un’area di influenza. Ma stiamo parlando di aria fritta. E poi, per pattugliare 1.100 km di linea di demarcazione fra russi e ucraini, ci vorrebbero 200mila uomini, più altri 200mila per dare loro il cambio. E ne avremmo altrettanti che sono appena tornati a casa perché hanno finito il turno. Dove li troviamo 600mila uomini?
Insomma, questa coalizione a cosa potrebbe servire?
Potrebbe combattere al fianco degli ucraini senza coinvolgere la UE e la NATO. Se questo è l’obiettivo, però, non parliamo di accordo di pace, perché i russi non lo firmeranno mai se ci sono truppe NATO di mezzo. Se si raggiungesse un’intesa per la pace, comunque, non ci sarebbe bisogno di una forza di interposizione, ma di osservatori: a una missione del genere possono pensare l’OSCE o l’ONU.
L’Italia partecipa alle riunioni dei volenterosi. Che ruolo può avere in tutto questo?
L’Italia ha tenuto una posizione equilibrata. Ha il governo più stabile tra quelli europei e non ha bisogno di cercare avventure militari. Dice apertamente che la guerra va chiusa e, pur partecipando agli incontri, non nasconde il suo scetticismo.
Il governo ha sempre detto che non ci saranno truppe italiane in Ucraina e mi sembra giusto, perché in questa guerra non siamo stati neutrali. Sono solo perplesso quando la Meloni propone di concedere all’Ucraina l’applicazione dell’articolo 5 della NATO (quello per cui, se un Paese viene attaccato, gli altri appartenenti all’Alleanza accorrono in suo soccorso, nda): gli articoli di un trattato sono riservati agli aderenti a quel trattato. Una delle ragioni per cui nessuno vuole l’Ucraina nella NATO è per non essere costretti a dover fare la guerra contro la Russia.
La UE, intanto, sta proponendo un kit di sopravvivenza in caso di emergenza, per garantire almeno per 72 ore generi di necessità utili ad affrontare situazioni critiche, compresa un’aggressione militare. Ci stiamo preparando alla guerra?
Un progetto che fa ridere, perché viene attuato da una classe dirigente UE raffazzonata. Non posso sentire Draghi che parla di gestione delle forze armate europee unificate, quando sosteneva che le sanzioni avrebbero messo in ginocchio economia e macchina bellica russa. Von der Leyen diceva che i russi rubavano le schede elettroniche, oggi sostiene che potrebbero invaderci: alzi la mano chi ha paura di trovarsi un carro armato russo in giardino domattina.
L’idea del kit è indicativa di una mentalità che preoccupa, che cerca di creare allarmismo con l’obiettivo di togliere sovranità agli Stati per accentrarla su una nomenclatura che nessuno di noi ha votato ed eletto.
(Paolo Rossetti)
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