Donald Trump ha spento la miccia di un attacco che avrebbe potuto incendiare il Medio Oriente: fonti dell’amministrazione americana rivelano al New York Times che il Presidente ha bloccato i piani di Israele per colpire i siti nucleari iraniani a maggio, preferendo una strada insidiosa ma meno sanguinosa: la diplomazia.
“Se sarà necessario un intervento militare, lo faremo, ma prima proviamo a parlare”, ha dichiarato Trump, in un bilico tra minaccia e speranza che ricorda i giorni ambigui della Guerra Fredda.
La decisione – maturata dopo mesi di scontri interni nella Casa Bianca – svela un leader diviso tra l’istinto di mostrare i muscoli e la paura di essere trascinato in un nuovo Vietnam. Israele, guidato da Benjamin Netanyahu – da anni ossessionato dall’atomica iraniana – aveva pianificato un’operazione militare complessa: raid aerei su impianti sotterranei come Natanz, supportati da commando e bombe “bunker buster”.
Senza il via libera di Trump – però – il rischio era un disastro: le difese antiaeree iraniane – seppur indebolite – avrebbero potuto respingere gli attacchi, scatenando rappresaglie su Tel Aviv.
Non a caso, il piano israeliano prevedeva un coinvolgimento diretto degli USA, con portaerei come la Carl Vinson nel Mar Arabico e sistemi THAAD per proteggere il cielo. Ma Trump, oggi, sembra inseguire un paradosso: diventare l’artefice di un nuovo patto, pur continuando a minacciare “conseguenze terribili” se i negoziati fallissero.
La svolta arriva in un momento delicato: l’Iran – stretto dalle sanzioni e isolato dopo il crollo degli alleati siriani e di Hezbollah – ha inviato segnali ambigui ma sufficienti a convincere una fazione della Casa Bianca – tra cui il vicepresidente J.D. Vance e l’ex democratica Tulsi Gabbard – della necessità di tentare il dialogo.
“Un accordo funzionerà solo se permetterà di smantellare tutto sotto supervisione americana”, ha replicato Netanyahu, ma Trump – reduce dagli errori del primo mandato – sa che un altro conflitto in Medio Oriente potrebbe macchiare la sua eredità. E così, mentre sposta pezzi sulla scacchiera – inviando la CIA a Gerusalemme e bombardieri B-2 a Diego Garcia – gioca la carta della pazienza.
Trump e Netanyahu: bloccato il raid, avanti con le trattative
Quella tra Trump e Netanyahu è sempre stata una danza di potere, fatta di abbracci pubblici e coltelli nelle spalle: l’ultimo atto è la visita del Premier israeliano alla Casa Bianca, presentata come un vertice sulla sicurezza e trasformata in un teatro dell’assurdo.
Mentre Netanyahu spingeva per l’attacco, Trump annunciava al mondo l’avvio di colloqui con Teheran: “Abbiamo un’opportunità unica: se i negoziati falliscono, allora bombarderemo” ha dichiarato un funzionario vicino a Vance, sintetizzando la doppia strategia dell’amministrazione.
La posta in gioco è altissima: l’Iran – secondo l’intelligence USA – potrebbe produrre sei testate atomiche in un anno, rendendo inutili gli attacchi mirati.
Intanto, gli Houthi nello Yemen – alleati dell’Iran – minacciano navi nel Mar Rosso, mentre Hezbollah – ridimensionato dopo le offensive israeliane – prepara la rivincita: “Un accordo frettoloso sarebbe un regalo a Cina e Russia”, avverte il Segretario alla Difesa Pete Hegseth, temendo che il vuoto USA venga riempito da potenze rivali, con Trump che continua a navigare a vista, sul fragile equilibrio tra attacco e diplomazia.