La guerra delle Popolari, il Montepaschi ancora da mettere in sicurezza, il faticoso parto della bad bank nazionale, il “credito per la ripresa”, lo scontro sindacale sul contratto nazionale: ben difficilmente il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, potrà eludere i molti capitoli scottanti dell’agenda bancaria, sabato mattina al convegno Assiom-Forex. L’appuntamento è non banale già nella cornice: ritrovo a Milano, hub bancario del Paese; Deutsche Bank – controllata italiana del gigante tedesco – come ospite-organizzatore.
È la prima volta che il “signore di via Nazionale” parla al Forex senza più le insegne piene di “vigilante”: da tre mesi la supervisione è passata alla Bce e la cronaca sta segnalando che il passaggio è già operante e tutt’altro che indolore per il sistema italiano. Visco d’altronde è il primo a sapere che il Forex – storico pendant del 31 maggio – non è occasione per ministri, imprenditori, leader sindacali ed economisti. La platea è rigorosamente riservata a banchieri e bancari: tradizionalmente educati nell’ascoltare il “domatore nazionale” di banche e mercati, ma meno inclini all’applauso “a prescindere” e all’interesse per tematiche macro.
Da qualche anno il feeling è decisamente diminuito, mano a mano che gli effetti della crisi economico-finanziaria ha accentuato le rispettive difficoltà: le banche a tenere assieme i bilanci; Palazzo Koch a destreggiarsi nella pesante partita della ri-regolamentazione post-2008. Non è più trattenuto nelle stanze dell’Abi il malumore dei banchieri convinti che sui nuovi standard patrimoniali – anzitutto – l’authority nazionale potesse essere meno appiattita sui desiderata discriminatori dei regolatori internazionali. Per di più Visco, agli ultimi Forex, ha spesso seguito le orme di Mario Draghi, puntando il dito sui compensi di amministratori e manager e sull’efficienza della governance delle grandi banche, mentre l’opinione pubblica alzava sempre di più la voce contro il credit crunch.
Come se non bastasse, dopo gli stress test ”della discordia” in sede Ue, lo scorso ottobre, ci si è messo anche il governo a premere sulle banche italiane. Il decreto che obbliga le 10 maggiori Popolari a trasformarsi in Spa entro 18 mesi è stato duramente respinto al mittente dall’Associazione di categoria. Il governatore, dal summit globalista di Davos, ha inviato un primo endorsement e nei giorni della resa dei conti in Bce sul Quantitative easing dell’euro, più di un osservatore ha indicato nell’Eurotower l’ispiratrice ultima della ruvida moral suasion sulle Popolari italiane.
Dopo lo scambio di bordate fra Palazzo Chigi e l’AssoPopolari il confronto sui contenuti del progetto di riforma dev’essere ancora sviluppato ed è prevedibile che sarà compito di Visco tirare le fila di un dossier certamente nodale per la democrazia economica in Italia: lo ha sottolineato sul Sussidiario Giorgio Vittadini, in un’analisi problematica. Vittadini comprende la reazione critica delle Popolari a un blitz dirgista, per di più sgradevolmente accompagnato da anomali rialzi di Borsa. Ma riconosce che lo scontro sulle Popolari fa emergere con forza il tema generale della rappresentanza degli interessi collettivi attraverso corpi intermedi (il credito cooperativo nel suo complesso lo è storicamente nel sistema-Paese). Di più, anche se penalizzate dalla crisi del rating sovrano e dalla debolezza italiana ai tavoli delle regole, anche il presidente della Fondazione della Sussidiarietà rileva l’arretramento delle Popolari dalla prima linea della difesa creditizia delle imprese durante la lunga recessione.
Se il rischio di scalate sulle Popolari trasformate in Spa per decreto è reale e va discusso, sono le Popolari stesse che devono offrire al governo e alla società economica nazionale dei buoni motivi per difendersi: per superare e veder modificato – in concreto – il decreto del 20 gennaio, che in sé appare effettivamente punitivo e riduttivo. Ma “tra Bonaparte e le corporazioni” (Vittadini), fra gli appetiti del mercato finanziario e non più innocenti attenzioni politiche, Visco, può essere effettivamente decisivo nell’assegnare i giusti compiti a casa alle Popolari: che pochi giorni dopo il Forex presenteranno i loro bilanci 2014. Che tuttavia ancora non sanno se e come potranno contare su un “silos comune” di smaltimento delle sofferenze, fiscalmente agevolato.
Popolari che sanno di non poter più eludere aggregazioni e cambiamenti del modello cooperativo classico; ma ancora non hanno chiaro il “piano regolatore” che hanno in mente governo e Bankitalia (Bce): significativo che dal presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, la cui figlia siede nel board di Ubi, siano già giunte dichiarazioni distensive sul decreto Popolari, probabilmente guardando alla stabilizzazione finale del Montepaschi.