CREDITO COOPERATIVO/ Azzi lascia Federcasse ma riparte dalle Bcc lombarde

- Gianni Credit

Alessandro Azzi conferma le  dimissioni da presidente Federcasse dopo il varo della riforma. Resta capo delle Bcc lombarde, a favore del piano di gruppo unico nazionale. GIANNI CREDIT

Azzi_Alessandro_R439 Alessandro Azzi, presidente dimissionario Federcasse (LaPresse)

Confermando ieri le sue dimissioni dalla presidenza di Federcasse, Alessandro Azzi ha certamente chiuso un’era per le Bcc italiane, ma ne ha subito aperta un’altra. Il leader del Credito cooperativo nazionale aveva accettato a fine 2015 la richiesta unanime delle 15 federazioni regionali di rimanere al vertice della federazione unitaria. Il progetto di autoriforma del comparto, presentato da Federcasse e approvato da Bankitalia, era sul tavolo del governo ma non ancora varato. Attendeva di essere aperto anche il cantiere di ristrutturazione delle circa 370 Bcc (parecchie in difficoltà) in un nuovo gruppo nazionale: secondo le grandi linee del memorandum d’intenti sottoscritto esattamente un anno fa da Federcasse, Iccrea Holding (polo delle strutture centrali di servizio e di prodotto del sistema) e dalla Cassa Centrale di Trento.

Il 2016 del Credito cooperativo è stato un susseguirsi di sviluppi imprevisti, al termine dei quali Azzi ha dichiarato esaurito in anticipo il suo mandato. La riforma varata in febbraio dal governo Renzi ha accolto in gran parte il quadro concordato fra Federcasse, Bankitalia e Tesoro e imperniato su nuovi meccanismi di coesione fra le singole Bcc e una nuova capogruppo: in modo da ridurre i rischi di governance troppo autonome e di aumentare la solidità patrimoniale del comparto.

Il testo finale ha d’altronde introdotto anche la cosiddetta way-out: la possibilità per le Bcc di trasformarsi in Spa uscendo dal sistema. L’ipotesi non era contemplata dal progetto Federcasse al fine di mantenere il più possibile compattezza al comparto e dare quindi il massimo delle possibilità di rilancio dell’unica forma di cooperazione creditizia rimasta nell’Azienda-Italia, dopo la riforma delle Popolari Spa. La way-out è stata invece inserita nella riforma all’ultimo istante dall’allora sottosegretario alla Presidenza Luca Lotti, su pressione di un piccolo nucleo di Bcc toscane. Fra queste spiccava la Bcc del Chianti, presieduta da Lorenzo Bini Smaghi, tuttora presidente del Consiglio di sorveglianza di Société Générale. Proprio la Bcc del Chianti (che ha accorpato fra l’altro il Credito cooperativo fiorentino, fallito sotto l’ala dii Denis Verdini) si è fatta costantemente promotrice di uno smembramento del credito cooperativo a favore della nascita d una pluralità di poli bancari fortemente orientati al modello della Spa. In controluce, nell’agitazione delle Bcc toscane, è stato possibile scorgere anche il tentativo – non realizzato – di costruire un possibile approdo per la Nuova Banca Etruria, dopo il dissesto che ha coinvolto nelle cronache anche il padre dell’allora ministro per le riforme Maria Elena Boschi. Sta di fatto che proprio le Bcc toscane siano state protagoniste nelle ultime settimane di clamorosi dietrofront sulla trasformazione in Spa: evidentemente non alla portata finanziaria delle singole banche.

Nel frattempo, tuttavia, l’azione centrifuga ha agito con successo sul sistema trentino, storicamente forte e autonomo a livello nazionale. Facendo sponda anche sui meccanismi di indipendenza che sarebbero comunque stati garantiti al polo dele casse Raiffeisen dell’Alto Adige, la Cassa di Trento ha abbandonato il tavolo del gruppo unico nazionale e ha lanciato il progetto di un “secondo gruppo”. Non da ultimo, la vigilanza della Banca d’Italia – che ha emenato nei giorni scorsi il regolamento d’attuazione della riforma, ha esercitato solo in parte la propria moral suasion a favore di un gruppo unico: anche se non si è ancora espressa sulla fattibilità del polo trentino. Quest’ultimo conterebbe sull’interesse di un centinaio di Bcc in Italia, ma non avrebbe ancora quadrato il cerchio della capitalizzazione necessaria alla nuova capogruppo (nonostante la partnership già attiva con il gigante tedesco DZW). La campagna acquisti di Trento, inoltre, farebbe leva sull’offerta alle Bcc associate di forme di governance autonome ancora tutte da testare sul piano regolamentare.

E’ a questo punto, comunque,  che Azzi ha deciso di concludere la sua esperienza di garante esterno e arbitro interno del sistema (questo ruolo toccherà ora all’emiliano Augusto Dell’Erba, finora vicepresidente). L’avvocato bresciano, d’altronde, non pensa a ritirarsi: manterrà pienamente la sua carica di presidente della Federazione lombarda. Quest’ultima ha già aderito all’originario progetto Iccrea Holding, come del resto altre importanti realtà del sistema, come ad esempio la Bcc di Roma. Se è prevedibile che Azzi giochi ora con maggior libertà di manovra al tavolo del riassetto, è difficile che sia lui ad alimentare i prodromi di “guerra civile” fra le Bcc italiane. Più facile – in un mutato contesto politico e bancario nel Paese – che s’impegni invece a far riguadagnare al Credito cooperativo italiano tutti i suoi momenti fondativi di unità, bancaria e sociale.





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