Vent'anni dopo l'omicidio di Nicola Calipari, Giuliana Sgrena: "Quando sono coinvolti Usa nessuno si dà da fare, è una storia senza verità e giustizia"
GIULIANA SGRENA 20 ANNI DOPO L’OMICIDIO CALIPARI
L’omicidio di Nicola Calipari è un caso irrisolto per il quale nessuno chiede giustizia, anzi se ne parla poco, nonostante sia una storia rimasta senza verità. Lo denuncia la giornalista Giuliana Sgrena, che rimase ferita nel sequestro in Iraq nel 2005 e per il fuoco amico americano che colpì l’auto su cui viaggiava dopo la liberazione, in cui rimase ucciso l’agente segreto che la scortava. Sono passati vent’anni, eppure per lei il ricordo è vivo al punto tale da avere la sensazione che sia accaduto poco tempo fa.
Il problema è anche dover elaborare tutto, un processo che non è ancora finito per la giornalista, come confessa a Il Messaggero: “Avevo creduto di morire e non sono mai riuscita ad essere contenta di essere libera“, proprio perché venne ucciso Calipari. Quella coincidenza tra la sua liberazione e la morte dell’agente del Sismi è un intreccio troppo doloroso per Sgrena, che non le dà tregua.
Ma non riesce a fare i conti con la storia anche perché non c’è mai stata giustizia per questa tragica vicenda. In realtà, i magistrati italiani riuscirono a individuare i responsabili, anche se il Pentagono non collaborò, ma non si è mai arrivati a un processo. Inoltre, Sgrena fa notare che non si è “mai saputo perché gli americani abbiano sparato al numero due dei servizi segreti italiani“.
LA MANCATA COLLABORAZIONE AMERICANA
La responsabilità non può ricadere solo sul marine Mario Lozano, colui che aprì il fuoco: Giuliana Sgrena ricorda che gli americani erano perfettamente a conoscenza chi c’era su quell’auto, perché le comunicazioni erano costanti, infatti era stato informato pure l’ufficiale di collegamento americano. “Gli americani non volevano che si trattasse con i rapitori, ma anche loro alla fine negoziavano per liberare i prigionieri Usa“. Dunque, anche questa è per la giornalista una motivazione debole. Per quanto riguarda la liberazione, ritiene che la mediazione parallela della Croce Rossa potrebbe averla ritardata.
La vicenda viene portata al cinema dal film ‘Nibbio‘, ma nonostante l’attenzione, resta una storia senza verità: “Questa è la cosa peggiore. Nessuno si è dato da fare come sempre accade quando sono coinvolti gli Usa“. Ripensando a quel mese di prigionia, le balza subito alla mente la paura di essere uccisa. Invece, è morto Calipari, che si era seduto accanto a lei sull’auto che doveva portarla in aeroporto per riportarla a casa: “Mi diceva che mi avrebbe riportata in Italia. Poi c’è stata quella luce abbagliante e gli spari“, conclude Giuliana Sgrena.
