Nuova udienza nel processo per l'omicidio Nada Cella, sparita la possibile arma del delitto: mai recuperato il fermacarte. Le rivelazioni di una poliziotta

OMICIDIO NADA CELLA, NUOVA UDIENZA PROCESSO

Il fermacarte con cui sarebbe stata uccisa Nada Cella è sparito: non vi è più traccia della possibile arma del delitto, che era stata repertata e sequestrata il giorno dell’omicidio. Stando a quanto emerso nell’ultima udienza del processo, e riportato dal Secolo XIX, quella prova non esiste più e, quindi, non può essere riesaminata. Il fermacarte era stato trovato in un armadio del commercialista Marco Soracco, per il quale Nada lavorava.



L’accusa ritiene che Annalucia Cecere, imputata per omicidio volontario (mentre il professionista e sua madre, Marisa Bacchioni, sono a giudizio per i depistaggi), abbia impugnato quell’oggetto, che fu restituito l’anno dopo al professionista, poiché all’epoca non era ritenuta l’assassina della segretaria, con la quale si sentiva in competizione per ottenere le attenzioni del titolare.



OMICIDIO NADA CELLA, LE RIVELAZIONI DI UNA POLIZIOTTA

La poliziotta Daniela Scimmi, dirigente della Scientifica di Roma, ha spiegato in aula che il fermacarte e un portaombrelli erano inclusi nella lista degli oggetti di interesse da riesaminare, anche alla luce delle nuove tecniche che permettono di individuare tracce organiche prima impercettibili. Tuttavia, non erano presenti all’interno degli scatoloni forniti alle forze dell’ordine.

La poliziotta ha anche dichiarato che nell’omicidio Nada Cella manca la “pistola fumante”: se è vero che il profilo genetico isolato nello studio del commercialista potrebbe appartenere a una donna, non vi è tuttavia alcuna certezza, “perché il segmento mancante della traccia potrebbe mettere in discussione la tesi”.



OMICIDIO NADA CELLA, DAL PERITO AL MEDICO LEGALE

Per quanto riguarda gli approfondimenti svolti dal perito informatico Mattia Epifani sul PC di Nada Cella, l’accesso alle ore 7:50 del giorno dell’omicidio fu “anomalo”, poiché di solito iniziava a lavorare alle 9. Tuttavia, ci sono state sporadiche occasioni in cui la donna aveva anticipato il suo arrivo.

Il medico legale Francesco Ventura ha riesaminato i documenti relativi all’autopsia, ribadendo la “ripetitività e brutalità” dei colpi alla testa che causarono la morte di Nada Cella e confermando la tesi del delitto d’impeto, avvenuto in due fasi: un primo colpo alla scrivania, che tramortì la vittima, e successivi colpi inferti dal killer, forse con oggetti diversi.