A 34 anni dall’omicidio del giudice Antonino Scopelliti – ucciso il 9 agosto 1991 sulla strada tra Villa San Giovanni e Campo Calabro – la Dda di Reggio Calabria ha aperto un nuovo capitolo investigativo, orientato ai vertici delle ’ndrine e sui loro legami con Cosa nostra; secondo gli atti notificati dalla procura, l’omicidio del sostituto procuratore generale della Cassazione – figura fondamentale nel primo maxiprocesso a Cosa nostra – fu deciso durante una riunione a Trapani nella primavera del 1991, con il possibile contributo di Totò Riina.
Tra gli indagati sono presenti nomi noti della criminalità calabrese: Pasquale Condello, detto “il supremo”, Giuseppe De Stefano, Giuseppe Morabito, Luigi Mancuso, e il reggino Giuseppe Zito, legato alle cosche di Archi che controllavano Milano; la collaborazione tra i clan siciliani e quelli calabresi sarebbe stata determinante, in quanto, i primi avrebbero eseguito materialmente l’agguato, mentre le ’ndrine avrebbero fornito supporto logistico, copertura e informazioni sulle abitudini di Scopelliti, noto per la sua inflessibilità e per il ruolo delicato che stava per assumere.
La ricostruzione poggia sulle dichiarazioni del pentito Maurizio Avola – autore materiale dell’attentato insieme a Vincenzo Salvatore Santapaola – e sul ritrovamento del fucile utilizzato; secondo gli investigatori, anche Matteo Messina Denaro – al tempo giovane emergente di Cosa nostra – avrebbe partecipato all’operazione seguendo gli ordini di Riina, mentre Salvo Lima, politico della Democrazia Cristiana ucciso nel 1992, avrebbe fornito dettagli riservati sulla vita del magistrato.
Omicidio Scopelliti, dall’agguato alla ricostruzione: i dettagli che inchiodano i mandanti
L’omicidio di Scopelliti – riportato alla luce grazie alla ricostruzione della Squadra Mobile di Reggio Calabria – racconta di dinamiche da giallo mafioso, con esecutori in sella a una Honda Gold Wing che bloccarono l’auto del giudice, una BMW, esplodendo 13 colpi, sei dei quali mortali; la Dda tende a rimarcare come l’intera operazione fosse sorvegliata da un corteo di auto, tra cui un’Alfa Romeo 164 con a bordo Messina Denaro.
Scopelliti, che da proveniva una giornata trascorsa sulla Costa Viola, era già a rischio per il ruolo che avrebbe avuto nel maxiprocesso di Palermo, previsto pochi mesi dopo, un ruolo che lo avrebbe esposto direttamente ai vertici delle mafie riunite; oggi, le perquisizioni condotte a Messina e le indagini sui boss reggini confermano l’ipotesi di un patto criminoso che va oltre lo Stretto, rafforzando così il legame tra le due organizzazioni.
Franco Coco Trovato – altro nome coinvolto – rappresenterebbe il ponte tra le cosche, nel frattempo, la procura di Reggio – guidata da Giuseppe Lombardo – ha ricostruito la scena del crimine utilizzando auto e moto d’epoca, ripercorrendo ogni dettaglio dell’agguato per studiarne l’organizzazione millimetrica; si tratta di un omicidio che non fu solo regolamento di conti o vendetta, ma un vero e proprio messaggio allo Stato, in quanto, uccidere Scopelliti significava colpire un simbolo della giustizia che aveva osato sfidare le mafie nel momento in cui si trovavano all’apice del loro potere.