Uno dei casi di cronaca nera che ha diviso l’opinione pubblica è l’omicidio Yara Gambirasio, anche questo chiuso definitivamente con una condanna, ma all’ergastolo per Massimo Bossetti. Eppure, anche l’ex muratore di Mapello non si è arreso di fronte alla verità giudiziaria stabilita dai processi. Nel suo tentativo, che va avanti ormai da tempo, di riaprire il caso, l’uomo ha deciso ora di procedere con una denuncia contro i Ris di Parma, i carabinieri che condussero le analisi scientifiche.
A rivelare la nuova mossa è Gianluigi Nuzzi sulle colonne della Stampa. Il giornalista, noto anche come conduttore di Quarto Grado, rivela che ora nel mirino della difesa di Bossetti finiscono i militari dei reparti scientifici dell’Arma. Per Nuzzi è l’occasione per riflettere sul rischio di processi senza fine, nel tentativo di provare a riaprire casi che sono stati già chiusi dalla giustizia.
MASSIMO BOSSETTI NON SI ARRENDE
Nessun parallelo con il delitto di Garlasco, anche perché nel caso Yara ci sono vari elementi, indizi e prove che sono stati raccolti contro Bossetti: Nuzzi ricorda la prossimità ai luoghi frequentati da Yara, la ricerca online pedopornografica trovata nel computer, la presenza del suo furgone vicino alla palestra di Yara in orari compatibili con la sua scomparsa, ma c’è soprattutto la prova regina del Dna, la traccia genetica mista trovata sul corpo della ragazza, che ha portato all’identificazione di Bossetti come l’assassino.
La difesa ha cercato di contestare la validità del test, ma l’analisi è stata ripetuta e confermata da più istituti, il margine d’errore è estremamente basso (99,9% di certezza moltiplicato per 4), quindi la probabilità di un errore è paragonata a trovare un altro Bossetti su 180 milioni di miliardi di pianeti come la Terra.
IL GIOCO DELL’OCA NELL’OMICIDIO YARA GAMBIRASIO
Nuzzi ricorda anche il ritratto di Bossetti, capace di fingere pianti e malattie, ma riflette anche sulle conseguenze emotive e sociali di queste continue azioni legali, che svuotano emotivamente la sentenza definitiva e riaprono ferite per i familiari, ma soprattutto creano un senso di giustizia infinita e frustrante per tutti.
Infine, evidenzia la dimensione storica e tecnologica del caso, la sua portata eccezionale, visto che vennero ascoltati 4.300 testimoni, furono analizzate 120mila utenze telefoniche e furono condotti oltre 26mila test del Dna, senza dimenticare che fu uno dei primi casi in Europa per i quali vennero utilizzate tecnologie avanzate su larga scala a l’intelligenza artificiale in campo forense.