SALVINI NON SI DIMETTERÀ IN CASO DI CONDANNA (E NON VI SAREBBE ALCUNA DECADENZA, PER ORA)
Lo ha detto in più occasioni, ribadendolo anche a ridosso della sentenza in arrivo venerdì 20 dicembre 2024 dal processo in primo grado sul caso Open Arms: Matteo Salvini non si dimetterà in caso di condanna a 6 anni di carcere (la richiesta formulata dalla accusa nell’arringa finale, ndr) né dal Governo arriverà una richiesta di passo di lato per il vicepremier e Ministro dei Trasporti, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Ma l’elemento più interessante resta capire cosa succede in caso di condanna dal punto di vista tanto politico quanto giuridico: in primo luogo, per chiarire le idee confuse emerse nelle scorse settimane, non scatterà alcun obbligo di decadenza previsto dalla legge Severino, come confermato al “Sussidiario.net” dal professore ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Milano Lorenza Violini.
Come previsto dalla Costituzione, gli obblighi di dimissioni vengono applicati solo in caso di condanna definitiva (ergo il terzo grado in Cassazione), perciò Matteo Salvini rimarrà al Governo e al Ministero, così come in carica come senatore, anche in caso di condanna di primo grado. Nello specifico, ricorda la stessa giurista Violini, la decadenza prevista dalla (contestata) legge Severino è «prevista per la carica di parlamentare della Repubblica e non di Ministro», qual è il leader della Lega. Nei vari interventi di questi mesi, non da ultimo l’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire”, Salvini ha poi ribadito che in caso di sentenza negativa «non mi dimetterò perché ho difeso l’Italia, ho salvato vite riducendo reati e morti e facendo risparmiare miliardi agli italiani». Nell’intervista al “Giornale” lo stesso vicepremier prometteva non solo le non dimissioni in caso di condanna, ma lanciava la forte accusa a parte della magistratura di aver usato il processo Open Arms per un’eliminazione politica della Lega, «è una vendetta della sinistra».
Negli scorsi giorni dal Governo, tanto Meloni quanto l’altro vicepremier Tajani, hanno fatto quadrato sul Ministro dei Trasporti ribadendo che nulla cambierà in sede di CdM davanti ad un’eventuale condanna a Palermo: «non mi dimetterò», ribadisce Salvini confermando l’input del Centrodestra di proseguire senza modifiche alla squadra di Governo, anche perché non scatterebbe appunto la legge Severino dopo una condanna in primo grado. Se però la condanna dovesse scattare, conclude il leader della Lega, la sconfitta più che personale sarebbe «per l’Italia e per il mondo, in quanto proteggere i confini è un dovere e non un reato».
QUALI CONSEGUENZE PER SALVINI (E PER LA POLITICA) IN CASO DI CONDANNA SUL PROCESSO OPEN ARMS
Non vi sono però solo conseguenze “politiche” dirette sulla figura di Matteo Salvini all’interno di questo Governo (o di eventuali successivi, qualora si dovesse protrarre l’iter consueto di un processo con primo grado, eventuale appello e terzo grado in Cassazione): in caso di condanna di un Ministro della Repubblica, addirittura di un vicepremier come in questo frangente, vi potrebbero essere elementi di riflessione e di dibattito che sfociano direttamente sul rapporto tra potere politico e giudiziario. «Non ci sono i presupposti per l’applicazione della Severino, ma il vero punto della questione è capire quali limiti vi siano davvero per l’azione giuridica di un magistrato», specie se quell’atto “sfocia” in una decisione politica come la difesa dei confini e dei territori di un Paese: lo spiega in esclusiva al “Sussidiario.net” l’avvocato e professore ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università del Salento, prof. Mario Esposito.
Il caso Salvini-Open Arms è esemplare in quanto l’oggetto del giudizio è un atto specifico politico di un Governo, ovvero appunto la garanzia dei confini dall’immigrazione irregolare: «non esiste in Costituzione un diritto all’ingresso irregolare in uno Stato estero», riflette il docente entrando nelle pieghe della lunga vicenda Open Arms durata 25 udienze, con ben 45 testimoni e mezzo Governo dimissionario (il Conte-1) alla “sbarra” come testimone contro un loro ex esponente, oggi però molto distante politicamente. Occorre capire, secondo il professor Esposito, se vi sia ancora garantita la necessità di un atto politico che non possa essere “sindacato” dal potere giudiziario: «non tanto per dolo il giudice rischia di diventare ingerente delle prerogative essenziali tipiche della sovranità politica». In sostanza, non è un problema di “garanzia giurisdizionale”, ma è proprio un problema di limite giuridico che la Carta garantisce: «se i poteri sono separati non significa che siano tutti sullo stesso piano, altrimenti il potere dei magistrati andrebbe a sconfinare senza tra l’altro doverne rispondere a nessuno».
In maniera parallela con quello che succede nei “limiti” della Corte Costituzionale (la quale non può immischiarsi in materie direttamente politica), il caso Open Arms con il processo contro Salvini mette sul tavolo la medesima problematica: un magistrato che può arrivare a limitare un atto politico (decreto, ordinanza o qualunque altro), questo è il problema che metterebbe in campo un’eventuale condanna per il vicepremier, all’epoca dei fatti Ministro degli Interni. «Possono i giudici avere anche questo potere politico?», si chiede il professore Esposito osservando il caso Open Arms, così come parallelamente accade in questi mesi con il protocollo Albania-Italia. «Il tema è anche prettamente politico, non solo penale-giuridico»: il Governo, un Ministro, un sindaco, come conseguenza diretta dei propri atti politici hanno il giudizio insindacabile del popolo in quanto eleggibili, cosa che però in Italia non si può dire della categoria dei magistrati. «In nome del confuso riferirsi a presunti e generici “diritti collettivi”», riflette ancora il docente e avvocato, si arriva a giustificare l’intervento di un magistrato che blocca un atto politico (e indaga il Ministro che l’ha ordinato). «Non c’è un diritto ad entrare clandestinamente in un Paese, finché ci sono gli Stati, i confini e le nazioni. Si può fare domanda», conclude il professor Esposito sottolineando il tema diretto delle conseguenze politiche sulla condanna di Salvini, sarebbe insomma un precedente molto grave e imponente se in nome di «non precisati diritti si arriva a bloccare l’attività politica per mano di un Tribunale».
Ultimo, ma non meno importante elemento sul caso Salvini-Open Arms, il processo ha messo in evidenza come i 147 migranti salvati dalla ong spagnola, avevano comunque un Paese di primo approdo (Malta) così come l’invito del Paese di provenienza della nave, la Spagna. È stato però scelto di portare in Italia come sorta di “sfida” politica al Governo che in quei mesi metteva in pratica la politica dei “porti chiusi” contro l’immigrazione clandestina: «cosa deve fare allora il Ministro, non deve più esercitare le proprie competenze legittime politiche?», si chiede il professor Mario Esposito rilevando la china molto pericolosa che parte della magistratura da anni starebbe mettendo in campo sul rapporto complesso tra Stato e potere giuridico. In caso di condanna di Salvini, in poche parole, il problema sarebbe la conseguenza politica e giuridica di un atto politico che rimarrebbe sempre sindacabile ad eventuali tribunali e magistrati, organi non politicamente responsabili in quanto non eleggibili. La chiosa di Esposito al “Sussidiario.net” fa ben comprendere la posta in gioco anche ben oltre la sentenza: «se tu intervieni su una sfera di atto politico puro, e non rispondi politicamente chi è il sovrano? Quello che ha fatto l’atto politico o quello che ha condannato il suddetto?». Una condanna del genere rischierebbe di far andare indietro di decenni l’evoluzione giuridica italiana, riportando per Ministri e attori politici il rischio di responsabilità penale per le proprie azioni, sostituita in epoca moderna, giustamente, dalla responsabilità politica di dover rispondere agli elettori. C’è insomma un rischio che il potere giuridico diventi il potere più potente che esista: «vogliamo mettere in mano ai giudici anche le scelte politiche?», conclude l’esperto costituzionalista.