Due prove sparite dal fascicolo: un video girato da un sommergibile della Marina militare italiana e la comunicazione della notizia di reato da parte della Guardia di finanza. Un episodio sospetto che investe il processo in corso di svolgimento a Palermo a carico di Matteo Salvini, imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito nell’agosto 2019, da ministro dell’Interno, lo sbarco di 147 migranti recuperati dalla nave della Ong Open Arms.
L’udienza di venerdì scorso si è contraddistinta anche per altri episodi singolari, uno su tutti la testimonianza di Fabrizio Mancini, direttore del Servizio immigrazione del ministero dell’Interno. Mancini, teste dell’accusa, parlando delle Ong ha detto che “andavano fuori dalle regole, avevano messo in piedi un sistema alternativo a quello ufficiale” fuori dal controllo delle autorità preposte.
“L’episodio centrale resta comunque la sparizione del video”, afferma Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver che segue da tempo le vicende relative alla geopolitica e ai flussi migratori nel Mediterraneo. “C’è in gioco non solo la legittimità dell’operato di Salvini, ma anche la definizione del raggio d’azione della politica, sull’immigrazione e su altri campi”.
Quali sarebbero le prove lasciate fuori dagli atti del procedimento che scagionerebbero Salvini?
La difesa di Salvini parla di un video registrato da un sommergibile italiano presente il 1° agosto 2019 nella zona dove è avvenuto il primo intervento di Open Arms operato in quel mese. Si tratterebbe, sempre secondo la difesa, di immagini compromettenti per l’Ong, in quanto intervenuta in acque libiche per far salire a bordo dei migranti senza avvisare le autorità competenti.
Manca solo questo?
No: oltre al video, nelle carte del fascicolo non ci sarebbe traccia della comunicazione della notizia di reato redatta dalla guardia di finanza in cui si ipotizzava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in capo al comandante della Open Arms e al capo missione. Ma è comunque sul video che si incentrano le maggiori polemiche di queste ore.
Dove sta la difficoltà nell’acquisire il video del sommergibile?
È un punto su cui la difesa di Salvini sta concentrando una parte del proprio lavoro. Secondo l’avvocato Bongiorno un video del genere dovrebbe stare tra gli atti. Il motivo per il quale non è presente, sarà certamente motivo di dibattito nelle prossime udienze.
Dal video emergerebbe che il barchino non sarebbe stato in condizioni di difficoltà tali da richiedere un salvataggio. Non è stato meglio agire con prudenza e soccorrere comunque?
Visto che il barchino era in acque libiche, si sarebbe dovuta quanto meno avvisare la Marina di Tripoli. Ma sappiamo come le Ong non ritengono quest’ultima come un’interlocutrice affidabile e inoltre la Libia non è considerata porto sicuro. Quindi quanto fatto da Open Arms rientra nella sfera del proprio modus operandi e di quello delle Ong. Il quale, secondo il teste chiamato dalla procura di Palermo nell’ultima udienza, ossia il direttore del servizio di immigrazione del ministero dell’Interno Fabrizio Mancini, è spesso “fuori dalle regole”.
Ma è possibile che l’imbarcazione di Open Arms abbia “cercato” il barchino per compiere un’azione di salvataggio non strettamente necessaria?
Difficile dire se l’Ong spagnola abbia o meno appositamente cercato il barchino. Alcune organizzazioni umanitarie in passato sono state accusate di veri e propri accordi con gli scafisti, c’è un procedimento in merito in corso a Trapani con indagini partite tra il 2016 e il 2017. Ma non è il caso di Open Arms, su cui non risultano inchieste in tal senso. Può essere quindi che, più semplicemente, l’organizzazione abbia aspettato l’arrivo di uno o più barchini, piazzandosi appositamente in un tratto di mare dove è ritenuto altamente probabile il passaggio di mezzi partiti dalla Libia con migranti a bordo. E qui salta fuori il vero nocciolo politico della vicenda.
Quale sarebbe?
Considerare opportuno, politicamente prima ancora che giuridicamente, che una nave straniera aspetti per giorni l’arrivo di barchini per poi portare i migranti a bordo verso l’Italia. È su questo aspetto che, sia durante la calda estate del 2019 che dopo, si è giocato il braccio di ferro politico tra Salvini e le Ong.
Perché, se il finto salvataggio da parte di Open Arms fosse comprovato, la decisione dell’ex ministro di non sbarcare sarebbe legittima?
Salvini ha sempre ritenuto di aver operato in conformità con i decreti sicurezza approvati dal governo Conte 1, quello di cui era ministro dell’Interno. Erano norme, oggi in gran parte modificate dopo i nuovi decreti approvati dal governo Conte 2, che limitavano fortemente le attività delle Ong e con le quali si cercava, in linea con il programma della maggioranza di allora, di contrastare il modus operandi delle Ong.
Quali erano gli argomenti a difesa prima che si sapesse dell’esistenza del video? Erano bastanti?
La difesa di Salvini ha sempre sottolineato la somiglianza del caso Open Arms con quello relativo alla nave Gregoretti, risalente al luglio del 2019 ed esaminato dalla procura di Catania. Un caso chiuso poi con il “non luogo a procedere” per Salvini, decretato dalla procura etnea. Dunque, secondo il collegio difensivo, se un caso gemello è stato chiuso a Catania, non ci sarebbero i presupposti per ritenere invece condannabile l’ex ministro nel procedimento di Palermo. Inoltre Salvini ha puntato anche sulla legittimità delle sue scelte politiche e sulla loro conformità con le scelte intraprese dall’intero governo Conte 1. Infine, Giulia Bongiorno ha sempre rimarcato l’inesistenza del reato di sequestro di persona, il più importante imputato a Salvini. Chiaro che il video, dal punto di vista della difesa, avrebbe potuto aggiungere una carta in più da giocare.
Tra parentesi: cosa prova, a riguardo della nostra Marina e del nostro apparato di sicurezza, l’esistenza di questo video?
Prova che il Mediterraneo è pattugliato dai nostri mezzi e che i servizi di sicurezza conoscono le dinamiche di quanto accade nel tratto di mare che ci divide dall’Africa.
Come può sparire un video del genere?
La difesa di Salvini ha dichiarato nell’ultima udienza di essere a conoscenza del fatto che il video è stato girato a tutte le procure siciliane e a quella capitolina. Se non si trova tra gli atti, forse è perché la procura interessata, quella di Palermo, non l’ha ritenuto importante ai fini del processo. Allo stato attuale è questa l’ipotesi più accreditata che si può fare.
Se mancano elementi idonei all’accertamento dell’accaduto, cosa si fa?
Ci sono comunque altri elementi e altre situazioni da poter verificare e su cui difesa e accusa non mancheranno di puntare le proprie attenzioni in sede di dibattimento.
Fin dai tempi dell’autorizzazione a procedere, il Sussidiario ha sostenuto che il problema politico di questa vicenda non era il sen. Salvini, ma la facoltà di difendere un indirizzo di governo (la difesa dei confini) da parte di chiunque si fosse trovato al suo posto. Che ne pensi?
È questo forse il punto che rende più interessante il caso Open Arms. Perché c’è in ballo non solo la legittimità o meno dell’intervento di Salvini, ma anche la definizione del raggio d’azione della politica non solo sull’immigrazione ma anche su altri campi. La domanda che campeggia maggiormente attorno al processo è: fin dove un atto si può considerare esclusivamente politico? E quando invece la magistratura è chiamata a intervenire su azioni dettate da una linea politica di un determinato governo?
Siamo di fronte ad un processo politico?
La mia impressione è che non solo Open Arms ma, in generale, tutto il mondo ruotante attorno alle Ong veda nel processo una sorta di “resa dei conti” con Salvini. In realtà però, ricordiamo che tra il 2018 e il 2019 la popolarità di Salvini cresceva maggiormente in concomitanza con le notizie di inchieste aperte a suo carico.
E se Salvini fosse condannato?
In caso di condanna, una parte della magistratura verrebbe vista come eccessivamente “interventista” in vicende invece percepite come prettamente politiche. E dunque Salvini potrebbe, paradossalmente, trarre un vantaggio politico da una sentenza a lui sfavorevole.
(Federico Ferraù)
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